Capitolo I Volume I 2015
Il treno era arrivato in stazione. GS, stringendo i denti per il dolore, tirò a sé il borsone, quello da viaggio, si caricò lo scrigno sulle spalle, e scese dal treno.
Le feste erano ancora lontane e quello sembrava che dovesse essere un inverno atipico, perché troppo rigido rispetto le fredde stagioni degli anni precedenti. Una signora, alta e bionda, lo urtò per poi chiedergli scusa e dire che andava di fretta. GS si avviò verso l’uscita della stazione, camminò speditamente (nonostante il mal di schiena) per uscire al più presto all’esterno; non era la stazione ad infastidirlo, né il fischio di treni in partenza, ma era la massa a fargli storcere il naso: tante persone che si spingevano, facevano a spallate, per raggiungere il taxi o per arrivare in tempo ai binari della metropolitana e non perdere così il treno. E quanti, come lui, cercavano l’uscita della stazione, perché dovevano incontrare i parenti che erano andati a prenderli.
Percorso tutto il binario, GS si ritrovò al centro della stazione e dovette superare un muro formato da autisti di taxi che attendevano i propri clienti, parenti ed amici che aspettavano le persone scese dal suo stesso treno, che dal Nord aveva attraversato la penisola diretto verso il sud. Superando “la barriera umana”, GS raggiunse l’uscita della stazione; lanciò solo una rapida occhiata al grosso tabellone che indicava i diversi percorsi per raggiungere la metro o le altre linee ferroviarie che nascevano dalla stazione e si diramavano verso le più diverse zone della regione. Quante volte aveva preso il treno che girava intorno ai paesi siti sotto al grande Vulcano, perché suo fratello maggiore non poteva andare lì, a prenderlo? Quel giorno, invece, lo stava aspettando “al solito posto”.
Non appena uscì dalla stazione, attraversando la porta scorrevole e guadagnando il marciapiede, GS afferrò il cellulare e, come da accordi, chiamò suo fratello maggiore.
“GS, sono allo sbocco dell’autostrada, arrivo tra una decina di minuti. C’è traffico, tu aspettami al solito posto!”.
“Va bene. Mi avvio alla rotonda, ci vediamo lì tra dieci minuti” – GS chiuse la chiamata e mise il cellulare nella tasca interna del cappotto. Erano le undici e mezza del mattino ed il cielo della sua città, nonostante fosse inverno ed il gelo l’avesse stretta in una morsa ben più serrata di quella degli scorsi anni, restava sempre limpido ed il sole salutava tutti i cittadini, illuminando le strade e le case. Tutt’altra storia rispetto i mattini uggiosi dell’inverno del nord.
GS si avviò verso il punto in cui, di lì a pochi minuti, si sarebbe visto col fratello maggiore. Camminò sul marciapiede, cercando di non impazientirsi quando questo si stringeva ed il traffico dei pedoni diveniva “ad una corsia”. Passò di fianco la libreria che si era aperta da poco, decidendosi a spiarne le vetrine, per ingannare il tempo. Suo fratello ci avrebbe messo un po’ a raggiungerlo e da quel punto era facile controllare la rotonda. Il ragazzo, sempre appassionato di libri, lanciò uno sguardo alla vetrina assortita, abbellita con addobbi natalizi (fiocchi e palline rosse), in vista del natale. C’erano numerosi titoli in vetrina: libri di narrativa per ragazzi, saggi storici, qualche opera di attori famosi che si erano lanciati nel mondo della letteratura e l’ultimo fantasy del suo autore preferito. Fu proprio sul libro del celebre autore americano, uno dei pochi che GS aveva preso a seguire assiduamente dalla fine degli anni novanta, quando aveva scoperto per puro caso il suo primo libro e aveva deciso di comprarlo, che GS concentrò la sua attenzione. Dal giorno in cui aveva letto il primo libro del conosciutissimo autore erano passati molti anni e GS non aveva più abbandonato l’appuntamento con lo scrittore ed il suo mondo, basato sulle avventure di una famiglia in particolare e le sue varie generazioni. L’ultimo volume, che GS aveva acquistato un paio di mesi prima, seguiva le vicende di due gemelli, discendenti di quella famosa famiglia che era sempre stata convocata dai druidi, quando il mondo in cui vivevano veniva minacciato. Questa volta la celebre famiglia, rappresentata dai due giovani gemelli che potevano contare sul potere del canto magico, era stata coinvolta in una cerca; condotti all’interno di un mondo desolato e terribile – un mondo in cui erano stati destinati tutti gli esseri malvagi di un passato in cui la magia permeava la terra – i due gemelli si erano divisi ed uno di essi era rimasto prigioniero del demonio che governava quel mondo oscuro.
GS sorrise, lanciò una rapida occhiata alla rotonda, non scorse l’auto rossa di suo fratello e tornò con gli occhi alla vetrina. Fu in un attimo che notò un volume in particolare. Non fu tanto la copertina a colpirlo – una pagina bianca al centro della quale spiccava una foto tratta da un film degli anni settanta – quanto il titolo. La sua mente tornò ad un tempo in cui era poco più di un bambino, in quel lontano ’92 quando, poco dopo esser tornato dal primo incontro col Grande Maestro MU, dovette fare i conti con la cosa che più odiava all’epoca: la scuola. Dopo aver acquisito a stento la licenzia media, aveva deciso – d’accordo con suo padre e suo fratello maggiore – di iscriversi alla Ragioneria. Non sapeva nemmeno cosa fosse, la Ragioneria! Per lui – un ragazzino amante della strada e per il quale contavano solo i suoi amici e le risse nelle quali, regolarmente, si faceva coinvolgere volentieri – un istituto valeva l’altro, non aveva alcuna preferenza. A dire il vero, non sapeva nemmeno a cosa andava incontro.
Durante i primi giorni di scuola, verso fine settembre, GS conobbe la sua insegnante di Italiano e Storia del primo anno. Nessuno, per lui non era nessuno, solo una donna di mezza età che si accalorava, parlando dietro una cattedra. E mentre la rossa signora parlava e parlava, spendendo fiumi di parole sul brano “La bocciatura”, egli pensava alla Congregazione che voleva imporre la propria verità su tutta la città e che considerava tutti coloro che non abbracciavano il suo culto come dei nemici dai quali stare lontani, dei lebbrosi da evitare a tutti i costi!
Il pomeriggio, dopo aver pranzato, era stato costretto a fare il riassunto del brano spiegato in classe. Sotto la supervisione del suo severissimo fratello maggiore. Quel giorno, ormai così lontano, dovette ripetere almeno tre volte il riassunto e, per farlo, dovette addirittura leggere il brano: tre pagine intere!
Il sorriso di GS era spontaneo. Nella vetrina della libreria vedeva il suo riflesso: un ragazzo che aveva superato la trentina, con i capelli tagliati corti per nascondere il fatto che ormai ne rimanevano pochi, una barba sfumata alla quale non riusciva proprio a rinunciare e gli occhi chiari e azzurri che spiccavano dietro un paio di fine lenti. Le spalle larghe di chi non era solo robusto per costituzione ma aveva vissuto le sue avventure ed esse lo avevano irrobustito anche dentro. Per fortuna, si disse, il cappotto nascondeva quel po’ di pancia. Per un attimo, però, nella vetrina vide riflesso proprio quel ragazzino dai capelli scompigliati, dagli occhiali leggermente più spessi, sul cui volto non era ancora comparsa la barba; quello stesso ragazzino che aveva deciso di sputare, in modo sprezzante, sui libri sacri stampati dalla setta. A quell’epoca sembrava che nulla potesse fargli paura e invece qualcosa c’era: la scuola!
GS arrivò di corsa alla rossa Fiat Bravo. Suo fratello lo stava aspettando fuori dall’auto – “Dov’eri finito? Stavo per chiamarti”. Suo fratello Giuseppe era il secondo dei suoi due fratelli maggiori, amava vestire in modo elegante ed era una persona riflessiva, forse più avvicinabile ad uno stratega che ad un guerriero. Giuseppe, questo il nome del fratello di GS, indossava un giaccone sopra una camicia di ottima fattura, un pantalone scuro ed un paio di scarpe eleganti.
GS fece spallucce, dopo aver sistemato il borsone nel portabagagli e poggiato lo Scrigno del Nuovo Ordine sul sedile posteriore dell’auto – “Mi sono fermato in libreria un attimo” – Disse, mostrando al fratello il libro che aveva acquistato.
“Il Gradino dei Finzi Contini” – Suo fratello lesse il titolo e sorrise – “Non mi sembra una delle tue letture abituali. Come mai questa scelta?”.
GS si sistemò sul sedile del passeggero, mentre suo fratello maggiore metteva in modo l’automobile – “Diciamo che ho rimandato per troppo tempo un appuntamento con l’affascinante Micol”.
Giuseppe, il fratello maggiore di GS, si immise sulla corsia principale e fece la strada di ritorno verso l’autostrada. Negli ultimi anni avevano cambiato i sensi nei pressi della stazione e l’auto rossa dovette fare un largo giro intorno al quartiere del capoluogo, dove le persone avevano da tempo dimenticato le regole dei sensi e delle precedenze; dove la gente si “gettava” per strada, senza curarsi delle auto che passavano. Ma, nonostante le peripezie, i due fratelli riuscirono a raggiungere l’autostrada.
“Allora, che si dice dalle tue parti?”.
GS sospirò – “Va come sempre, i soliti casini”.
Suo fratello, gli occhi fissi sulla strada, fece una smorfia strana, come se fosse stato trafitto da un dardo invisibile – “Purtroppo, qui sta andando in malora dappertutto. Vorrei proprio sapere dove hanno intenzione di arrivare, questi!”.
GS sbuffò, pensando alla NWO. Eppure, perché arrivare tanto lontano? Il vero male erano i cittadini stessi, non bisognava andare molto lontano. Il suo si era trasformato – o forse lo era sempre stato – in un paese in cui ognuno pensava a se stesso, fregandosene che l’intera penisola stava andando in malora. I commercianti pensavano solo a pagare meno tasse e, ancor più spesso, ad evaderle; i lavoratori dipendenti che ricorrevano sempre più a trucchi e “scorrettezze”; i dirigenti che pensavano solo ad arricchirsi, per nulla preoccupati delle sorti dei lavoratori che avrebbero dovuto aiutare! E, più colpevole delle altre categorie, la classe politica! Bastava gettare un occhio sul Tempio della Mente, per capire che la NWO non centrava nulla o, almeno, non era da sola responsabile di ciò che stava succedendo al paese!
Nel Tempio della Mente – e in chissà quanti altri posti del paese – era stata la cattiveria a stravolgere tutto, trasformando un posto ancora vivibile; un prato ancora ricco di fiori e di vita, in un arido deserto. Il Tempio della Mente era, infatti, un luogo arido di buoni sentimenti. Non c’era più benevolenza, nessuna riconoscenza né alcun rimpianto per coloro che erano stati presi di mira dalla nuova Signora del Tempio. Al posto dei fiori profumati, dopo che la luce del sole era scomparsa, oscurata per sempre da nubi cariche non di elettricità ma di odio, rabbia e senso di rivalsa, erano comparse statue di sale e, inizialmente, nessuno le aveva riconosciute, se non i diretti interessati. Le statue ritraevano loro, i Cavalieri del Tempio fedeli alla Nuova Signora – coloro che, dimentichi del rispetto che li legava ai propri alleati, avevano deciso di appoggiare il regime dittatoriale della donna –, ma presentavano i veri volti di quelle persone che, nascondendosi dietro false maschere di perbenismo, si sforzavano di apparire dolci e amichevoli, persino comprensive. In quel deserto buio, freddo e privo di vita – eccezion fatta per i terribili scorpioni che giravano nascosti sotto la sabbia – l’unico suono che riempiva il vuoto era composto dalle risa di scherno che i Cavalieri divenuti membri dell’elite emettevano a discapito di coloro che, meno fortunati o meno disposti a sottomettersi al potere dittatoriale che stringeva il Tempio nei proprio artigli, erano vittime dei soprusi di un potere malato.
Come in ogni altro caso in cui il potere arriva a stringere con troppa forza – a tirar troppo la corda – un gruppo di persone si era costituito con lo scopo di fermare la forza avversa che stava distruggendo la pace all’interno del Tempio della Mente, come un’onda troppo alta che si abbatte sull’isola, rischiando di distruggere le capanne degli isolani. Solo il coraggio e l’arguzia di questo piccolo gruppo, al quale anche lui aveva deciso di prendere parte, era riuscito a ristabilire un equilibrio, precario ma pur sempre un equilibrio. La colpa di tutto quanto era successo, era da attribuire alla Signora del Tempio, così dicevano le voci all’interno del Tempio ma GS non ne era del tutto convinto, perché la colpa era da attribuire anche (forse soprattutto) a quei Cavalieri che avevano appoggiato il regime dittatoriale della donna, fomentandola addirittura, in alcuni casi, a scagliarsi come un maglio contro quelli che non si erano “piegati” al suo giogo. E coloro che fomentavano erano Cavalieri che un tempo andavano d’accordo e collaboravano a stretto contatto con gli altri, per mandare avanti tanto la Torre quanto il nosocomio. Se la donna assetata di potere, che desiderava dissetarsi dal calice della vendetta, non avesse trovato l’appoggio di coloro che avevano deciso di accompagnare la sua malsana gestione con commenti ironici e denigranti nei confronti dei loro alleati, non sarebbe mai riuscita ad arrivare a tanto. E gli altri, come si erano difesi gli altri quando lui aveva pronunciato queste parole? Gli altri avevano semplicemente detto che non avevano avuto il coraggio di opporsi alla Signora del Tempio. Menzogne, solo un mucchio di menzogne! I membri dell’elite non erano solo dei vigliacchi e dei farabutti, avevano condito la loro codardia e la loro cattiveria con la bugia di chi ha la coscienza sporca ed ha bisogno di una scusa per mettere a tacere i rimorsi. Quindi, a conclusione dell’assunto da cui era partito, e cioè che non c’era bisogno della NWO per mettere in atto politiche deleterie e di sottomissione nei confronti dei lavoratori o dei più deboli, GS si convinse che bastava la follia di una persona accecata dallo scintillio emesso dalle vesti del potere ed il profumo del calice della rivalsa a causare molti problemi.
“A cosa stai pensando, fratello? Ti vedo molto assorto”.
GS si accorse solo in quell’istante di essere rimasto muto per troppo tempo – “Pensavo al Potere e all’effetto che questo può avere sulle persone”.
“Non esiste bene e male, esiste solo il potere e chi è troppo debole per usarlo” – Disse Giuseppe – “Questa è una frase di J. K. Rowling”.
Già, GS pensò che il Potere andava dato nelle mani giuste e quelle mani appartenevano a chi era già molto forte e non aveva bisogno del Potere per sentirsi così.
Quel giorno il traffico era piuttosto scorrevole e i due fratelli raggiunsero il casello della loro provincia senza troppi problemi, quelli sarebbero cominciati di lì a poco!
Come sempre – non c’era giorno in cui il traffico non regnava sovrano nella città in cui viveva la famiglia di GS – raggiungere il garage fu una vera e propria impresa. Usciti dal casello autostradale Giuseppe e GS superarono la rotonda e si immisero nella strada vero il litorale, lungo la quale si trovava il loro quartiere. Il traffico era lì ad attenderli, un emissario del caos che regnava in una città in cui gli stessi cittadini erano artefici del più grande dei disordini. File di automobili, le vere padrone della città, si muovevano lente, come enormi pachidermi diretti al cimitero degli elefanti, verso il litorale cittadino e il centro. Le strade, troppo strette, sembravano volessero esplodere e, ad ogni angolo e su ogni marciapiede, ragazzi e ragazze appoggiati ai muri o davanti alle vetrine dei negozi, sbirciavano l’interno delle automobili. L’ultimo ostacolo da superare fu la strada in cui si trovava il garage di famiglia. Si trattava di una stradina laterale, nella quale ci si immetteva, provenendo da quella principale diretta al litorale. Era una strada resa ancora più stretta dalle automobili parcheggiate lungo i lati, divenuta impossibile per via del doppio senso e – come se ciò non bastasse – dai camion per i rifornimenti della salumeria di quartiere.
GS e Giuseppe arrivarono a casa, il cavaliere mise in un angolo lo Scrigno del Nuovo Ordine e lasciò la borsa nella sua camera da letto; si diede un’occhiata nello specchio ed entrò nel salotto. C’erano sempre le foto: quelle numerose dei nipoti, alle quali si era aggiunta quella del piccolo Giulio di appena un anno; quelle dei genitori quando erano giovani e dei tre fratelli. Al centro della stanza c’era il tavolino in cristallo, mentre ai lati c’erano il divano e le due poltrone. Attraverso l’arco si entrava nella cucina e lì, seduto davanti al televisore per seguire le ultime notizie del telegiornale, c’era il papà.
Era seduto al suo posto di capotavola, robusto, quasi granitico. Aveva superato da tempo la settantina ed aveva tutta una serie di acciacchi che con l’età erano peggiorati ma niente era riuscito a scalfire il suo carattere. Il capofamiglia era risoluto, pratico e non si faceva abbattere dai problemi né dagli imprevisti. GS, mentre suo fratello andava a lavarsi le mani, salutò suo padre con un bacio, seguito subito da una vigorosa stretta di mano e lo scambio di poche parole. Gli occhi di GS, dopo essersi staccati da quelli di suo padre, esaminarono la cucina: i fornelli su cui cuoceva il cibo, il balcone proprio di fronte e la grande tavola alla quale era già seduto il genitore. Il profumo delle ottime pietanze gli donò immediato vigore e gli stuzzicò l’appetito – “Cosa si mangia oggi, padre?”.
“Brodo! Visto il tempo gelido, mi è sembrato il giusto pasto” – Rispose suo padre con la sua voce vigorosa.
La calda voce di sua madre fece capolino dalla sala da pranzo – adibita più a sala degli svaghi che a vera e propria sala da pranzo –. GS si mosse e abbracciò forte sua madre. La donna era rimasta nella sala da pranzo, dove avevano acceso la stufa elettrica, per difendersi dai morsi del freddo.
Pochi minuti dopo, appena il tempo per GS di farsi una doccia veloce ed indossare qualcosa di comodo, e il pranzo era in tavola. La pentola del brodo ancora bollente, verdure lesse, carne e patatine e il cesto della frutta. Come bevande c’erano l’acqua e la birra. La famiglia consumò il pasto commentando le notizie che passavano in tv e, come sempre, GS iniziò ad animarsi quando sentì i commenti della classe politica sui lavoratori – “Come fanno, questi” – Diceva – “Come fanno questi a definire fannulloni i lavoratori? E dell’assenteismo, proprio loro se ne lamentano?”.
Il cibo era ottimo e, finito di mangiare, GS iniziò ad avvertire tutta la stanchezza accumulata nei giorni precedenti. Suo fratello fece il caffè e tutti loro lo bevvero. GS, mentre sorseggiava la bevanda scura, pensò ancora una volta alla situazione del paese. Era sempre più certo che la situazione economica in cui era stato precipitato, fosse opera della NWO. L’organizzazione controllava ogni cosa, la classe politica non era altro che un teatro di burattini nelle mani di un potere superiore, un organismo malevolo che stava dettando le mosse di una partita che andava avanti da secoli, se non da millenni; una partita nella quale si era deciso che la penisola dovesse capitolare. L’Impero era stata la prima pedina di quel gioco e solo in quei giorni GS si era reso conto che il vero nemico era molto più forte e molto più grande. Cosa avrebbe potuto fare lui contro la NWO? E il Grande Maestro MU, lui avrebbe avuto qualche possibilità di opporsi in qualche modo ad un’organizzazione che avvinghiava tutti gli stati con i suoi sozzi artigli? Combattere la NWO era come battersi contro l’intero pianeta e nemmeno un uomo della levatura del Grande MU poteva combattere contro un intero mondo! E se MU il Grande, uno degli eroi che avevano combattuto dalla fine degli anni ottanta per fermare il male, non poteva niente contro la NWO, cosa poteva fare un comune Cavaliere del Nuovo Ordine? GS scosse il capo, consapevole che solo un miracolo poteva salvare il suo paese dalla fine.
E così, GS si alzò satollo ma triste e si diresse in camera da letto, dove – dopo aver disfatto la valigia – avrebbe riposato qualche ora. La schiena gli doleva e lui non sapeva ancora se in serata fosse uscito, magari per salutare gli amici più cari, oppure se ne sarebbe rimasto comodamente a letto. Dopo aver aperto la valigia e sistemato i vestiti, dividendo quelli che aveva intenzione di mettere in quei giorni da quelli che doveva mandare in lavanderia, il ragazzo sistemò la valigia al solito posto e si mise sotto le coperte. Si accorse che solo dopo essersi disteso, la schiena smetteva di tormentarlo. Fissò la copertina del libro che aveva acquistato e si scoprì divertito dall’appuntamento che lo attendeva in quelle pagine. Avrebbe avuto modo di salutare nuovamente una persona, una ragazzina che gli era risultata molto antipatica durante il primo anno di istituto superiore. Pensò a Micol, non ricordava neppure come fosse fatta.