Da una stella lontana Parte 1
Era una notte come tante altre, la città era piena di gente ma ormai nessuno guardava il cielo, poiché l'infinita massa di stelle del firmamento non interessava più; la gente preferiva fissare le vetrine dei negozi, soprattutto quelle di telefonia mobile. Nessuno si accorse, quindi, di quella piccola luce che puntava sulla periferia.
L'oggetto, perché di questo si trattava, poteva essere scambiato per una stella cadente o per un piccolo meteorite, vista la luminosità che sprigionava. Quando la luce scomparve, attenuandosi lentamente, l'ufo si dissolse, come neve al sole ed il suo passeggero si ritrovò solo in un mondo che non era il suo. Prima di atterrare sulla Terra, però, l'alieno aveva compiuto i suoi studi riguardo la popolazione terrestre, i suoi usi e costumi ed era stato lui a scegliere il pianeta azzurro come metà finale del suo viaggio tra le stelle. Agli occhi di un altro essere umano, sarebbe apparso come un qualunque abitante della Terra: di razza bianca, di bell'aspetto con le spalle larghe, la muscolatura possente, i capelli biondi e ribelli e gli occhi verdi e profondi. Indossava persino dei vestiti: un pantalone classico, una camicia ed una giacca e ai piedi portava un paio di scarpe nere che si sarebbero adattate sia ad un look classico che ad uno sportivo. Ovviamente, tanto l'aspetto quanto i vestiti dell'alieno erano stati ricostruiti, per farlo apparire simile alla popolazione locale, attraverso un complesso sistema che univa la tecnologia laser a polimeri sintetici ed istantanei. Il vero aspetto dell'alieno era tutt'altro ma, mediante gli studi che aveva condotto prima di scendere sul terzo pianeta di quello che i suoi abitanti definivano sistema solare, il visitatore aveva scoperto che gli uomini non erano ancora pronti ad accogliere qualcuno che fosse troppo diverso da loro.
Si guardò intorno, avido di apprendere e conoscere tutto quanto lo circondava. Era tutto così diverso dal suo mondo di provenienza, erba, alberi, fiori. Su quello splendido pianeta, così distante da casa sua, infinitamente lontano dal suo sistema solare, la natura era sopravvissuta alla rivoluzione industriale, il cemento e l'acciaio convivevano pacificamente assieme ai fiori e alle piante. E chissà quanti uccelli avevano nidificato tra i rami degli alberi, quanti insetti vivevano in mezzo all'erba; l'aria era compromessa dalla presenza di polveri sottili e inquinamento ma restava comunque respirabile.
Mentre camminava, il visitatore non riusciva a smettere di scrutare quelle che per lui erano delle autentiche meraviglie, cose che sul suo pianeta di origine erano state dimenticate, entrando a far parte del mito, prima che lui potesse vedere i muri della fabbrica sotterranea in cui era nato. Fu semplice arrivare in città, bastò seguire le luci attraverso un sentiero di terra battuta che dalla zona collinare scendeva verso il cuore del capoluogo. Aveva scelto una penisola, situata nella parte bassa di uno dei continenti del pianeta ma l'atterraggio era stato del tutto casuale anche se, avendo studiato preventivamente tutta la geografia, le lingue e gli usi e costumi degli abitanti del terzo pianeta, il visitatore era preparato ad interagire con le genti che avrebbe trovato in città.
Camminando su una strada secondaria, fissando incuriosito i mezzi dai fari scintillanti, il visitatore delle stelle continuò a guardarsi intorno, sempre più affascinato, cercando di immaginarsi anche il suo mondo di origine quando – molto tempo prima che egli venisse alla vita – era pieno di fiori e l'aria era più pulita. Le genti che passeggiavano per le strade della città, però, non sembravano per niente accorgersi del tesoro cui attingevano senza saperlo. I ragazzi giovani erano tutti intenti a fissare lo schermo di piccolo dispositivi portatili, di varie misure, e quelli che non tenevano gli sguardi persi nel piccolo video, erano intenti a parlare con gli stessi dispositivi, appoggiati ad un orecchio, con gli sguardi persi nel vuoto.
C'erano anche uomini e donne più maturi ma nemmeno loro sembravano accorgersi della fortuna che avevano! Nei loro sguardi era possibile leggervi solo tristezza e preoccupazione e, in certi casi, delusione. Negli occhi degli anziani, invece, era possibile leggere l'amarezza e, in alcuni casi, la rassegnazione. Loro, gli anziani, forse erano gli unici che si rendevano conto di quali fossero le cose più importanti della vita, una vita che avevano già quasi vissuto tutta, fino in fondo.
“Possibile” – Si chiese il visitatore – “Che per apprezzare a pieno le cose essenziali della vita, si debba prima arrivare in fondo a quel segmento che, segnando il percorso di ogni uomo, parte dalla nascita per arrivare alla morte?”. Ma la morte era un concetto che uno come lui non avrebbe mai potuto capire a pieno, perché il suo concetto di vita era più lungo e ben diverso da quello di un essere umano della Terra.
Il visitatore continuò il suo viaggio turistico, attraverso le strade del centro, assistendo a scene poco piacevoli, come ad esempio gli scontri tra le forze dell'ordine locali ed un gruppo di presunti malfattori, e rimase molto colpito quando vide gli stessi esseri umani in vendita, come una merce qualsiasi! Si trattava di giovani donne che, ferme in dei punti illuminati, si mettevano in mostra, evidenziando la bellezza dei loro corpi, affinché gli uomini le comprassero per qualche ora. Come era possibile che su di un pianeta ancora giovane e relativamente sano, le donne ricorressero alla vendita del proprio corpo per sopravvivere? Pensando che fosse nel torto, il visitatore si avvicinò ad una ragazza: era giovane, di bella presenza anche se vestita in modo poco decoroso, con grandi occhi verdi ed i capelli a caschetto castani. La signorina non gli diede nemmeno il tempo di porgerle una domanda che, in un accento chiaramente straniero, gli propose delle cifre, anche modiche, per acquistare piaceri da lei. L'essere giunto dalle stelle indietreggiò immediatamente, disgustato. La bella straniera gli sorrise – “Forse ho capito” – Gli disse – “Cerchi ragazzi” – Lo guardò da capo a piedi, in uno strano modo e gli indicò una stradina laterale.
Il visitatore delle stelle decise di dimenticare quel triste episodio e proseguì lungo la stradina, che lo condusse in una zona poco abitata. La strada era priva di illuminazione, trascurata, e su entrambi i lati c'erano dei rottami di mezzi a quattro ruote, ma quello che colpì maggiormente l'alieno fu la grossa struttura di cemento, che liberava nell'aria fumi relativi alla attività industriale in essa svolta. Incuriosito da un qualcosa che gli ricordava molto da vicino il suo mondo d'origine, prima che le genti fossero costrette a rifugiarsi sotto terra – per evitare di finire avvelenate dai gas tossici che opprimevano l'atmosfera –, si diresse verso quella specie di mostro silenzioso che, altrettanto silentemente, liberava i veleni tossici nell'aria. Già prima di arrivare vicino allo stabile, il visitatore ebbe la certezza che vi fosse ancora qualcuno al suo interno. Mano a mano che si avvicinava, sentiva delle voci e, seguendole, scorse delle sagome ad una delle finestre, l'unica ancora illuminata. Da quello che riusciva a scorgere, il visitatore dedusse che c'erano quattro sagome oltre la finestra e, a giudicare dai toni accesi della discussione, sembrava che ci fosse una lite in corso. L'uomo dello spazio si arrestò di colpo: non gli era mai piaciuta la violenza, era nato nell'insegna della pace e non condivideva alcun tipo di brutalità; non che potesse essere definito uno smidollato: all'occorrenza sapeva anche battersi, poiché aveva ricevuto anche un'educazione alla lotta e alla difesa.
A giudicare da quello che si dicevano, un uomo stava perdendo il posto di lavoro e protestava animatamente; ricordava agli altri tre che aveva una moglie e due figli e che già la sua compagna non aveva un lavoro: come avrebbe fatto a portare avanti la famiglia? Il visitatore valutò i problemi di quello che, secondo il suo codice, appariva come la vittima di un sopruso, ma decise di non intervenire: forse l'uomo sarebbe riuscito a risolvere da solo i suoi problemi. Così, il visitatore rimase immobile, nella notte, parzialmente in ombra – evitando di proposito la luce che proveniva dalla finestra – sperando che l'uomo riuscisse a liberarsi delle angherie dei tre altri figuri. Ma la discussione prese toni sempre più accesi e, alla fine, sfociò in una lite furibonda e, quando l'uomo venne aggredito fisicamente, il visitatore si decise ad intervenire, cercando l'ingresso e, proprio quando lo trovò, vide qualcuno essere sbattuto violentemente fuori a calci.
L'uomo, sui quarantacinque anni, vestito con abiti classici ed una giacca, cadde a terra e si voltò immediatamente. Prima che si girasse, il visitatore riuscì a vedere che il naso e la bocca gli sanguinavano. Decise che fosse giunto il momento di intervenire ma si trattenne, ricordando il suo giuramento. Non poteva agire in un frangente come quello.
Mentre l'uomo dello spazio rimuginava su quale decisione fosse giusto prendere, uno dei due gorilla lo additò – “Ehi, tu! Cosa hai da guardare?” – Era un uomo sulla cinquantina, coi capelli radi ed una brutta espressione da cane sciolto ed il suo compagno non era certo più distinto.
“Cos'è, ti hanno mangiato la lingua?”.
“Togliti dai piedi, se non vuoi guai!” – Disse l'altro – “E consiglierei anche a te di andare via, se non vuoi altre grane!”.
L'uomo, ferito più nell'orgoglio che nel corpo, annuì con una strana luce di rivalsa negli occhi: era lo sguardo di chi aveva la forza e l'intenzione di reagire ma non poteva, perché era bloccato da un interesse più grande.
Ignorando le minacce dei due malvagi, l'esploratore raggiunse l'uomo e gli offrì il suo aiuto per rialzarsi.
“Grazie” – Disse questi, prendendo un fazzoletto e pulendosi il sangue dal naso e dalla bocca – “Adesso sarà meglio se ci allontaniamo da qui”.
Entrambi andarono via ma il lavoratore non fece che pochi altri passi prima di perdere l'equilibrio, se non fosse stato per l'uomo dello spazio, che l'aveva sostenuto, sarebbe caduto sulla strada.
“Cosa ti succede?”.
“Niente” – L'uomo scosse il capo – “Solo un leggero capogiro”.
“Non è meglio se ti fai vedere da un... medico?”.
L'altro lo guardò: non riusciva a decidersi.
“Potresti aver subito un trauma. Non c'è un ospedale da queste parti?”.
L'uomo annuì, ancora poco convinto – “Ma se vado in ospedale, dopo cosa dirò?”.
“La verità!”.
L'uomo scosse il capo – “Ma io non posso! Se sporgessi denuncia, perderei il lavoro e con la crisi che c'è, rischierei di fare la fame” – Si avvicinò ad un mezzo, automobile la chiamavano i terresti, ed aprì uno degli sportelli.
“Fidati di me, amico, e fatti vedere da un medico”.
L'uomo annuì – “Mi hai convinto!” – Disse – “Qui vicino c'è un ospedale, andiamoci. Io mi chiamo Alfonso e tu?”.
“Il mio nome è Giuseppe” – Mentì il visitatore dello spazio, infilandosi nell'auto e lasciando che l'uomo partisse, diretto al vicino ospedale.
Attraversarono la periferia, uscendo sul corso principale del capoluogo: fu come uscire da un limbo immerso nelle ombre. Lo stradone era illuminato ed i marciapiedi pieni di vita, sembrava proprio di essere sbucati in un'altra realtà.
“Perché quegli uomini ti hanno aggredito?”.
L'uomo staccò solo un attimo lo sguardo dalla strada, poi tornò a voltarsi davanti e fece spallucce – “Sono dei bastardi!”.
“Ma allora perché non li denunci?”.
“E con quali prove? Nessuno si sognerebbe di mettersi contro il capo ed i suoi bravi. Perderebbero tutti il lavoro, se solo ci provassero”.
“Ma così non è giusto. Io ho visto tutto, testimonierei a tuo favore”.
Il guidatore fece spallucce – “Ecco l'ospedale. Andiamo, è meglio”.
Svoltò a sinistra, entrando nel parcheggio di un complesso ospedaliero molto grande. Ci volle un po' prima di trovare parcheggio, ignorando le indicazioni di un gruppo di ragazzi improvvisatisi parcheggiatori. Dopo essere scesi dall'auto, in un piazzale abbastanza ampio attiguo all'ospedale, i due uomini si diressero verso una rampa che dava accesso al nosocomio. Già sulla salita che portava all'ingresso fu possibile notare diversi infermi: uomini sulle sedie a rotelle perché aveva subito interventi agli arti inferiori o amputazioni, una donna che fumava una sigaretta, portandosi dietro il palo di ferro a cui era assicurata la fleboclisi della terapia endovenosa, un ragazzo con un braccio ingessato. Il visitatore si rese conto, finalmente dal vivo, di quanto fosse arretrata la scienza medica su quel pianeta.
All'interno dell'ospedale c'erano un bar, una serie di sedie, l'ufficio relazioni col pubblico sulla sinistra ed un'edicola chiusa. C'erano diverse persone sedute: una madre con i suoi due bambini, un anziano, un paio di ragazzi. Nell'atrio c'erano anche una guardia giurata e al bar si trovavano alcuni medici intenti a prendere un caffè.
“Seguimi” – Disse Alfonso – “E speriamo di non trovare la solita, enorme, fila!”.
Il pronto soccorso si trovava oltre una porta elettrica. Una volta entrativi, i due uomini si ritrovarono dinnanzi ad un girone dell'inferno: persone in attesa con i volti scuri di chi sta perdendo lentamente ogni speranza, uomini e donne feriti e stesi su di una barella con una fleboclisi in corso, parenti in lacrime che stringevano le mani dei cari feriti o malati. E, ogni tanto, nella marea di gente sofferente si vedeva spuntare una divisa bianca: era l'infermiere di turno che, da solo, doveva accogliere ed assistere i pazienti fino a quando non entravano negli appositi box. Quella fu una scena che lasciò molto perplesso il viaggiatore spaziale perché, contrariamente a quanto aveva letto nelle sue fonti – che volevano il sistema sanitario della penisola uno dei migliori del mondo, perché con un minimo contributo da parte di ogni cittadino tutti potevano accedere alle cure –, nel pronto soccorso si aveva la visione di un luogo terribile, in cui i pazienti erano lasciati a loro stessi ed il personale addetto all'assistenza, ridotto sempre più, si vedeva solo raramente! Persino nel suo mondo di origine, corroso dai veleni e reso quasi del tutto inabitabile dai gas nocivi, si dava una grande importanza alle cure.
Passarono tre ore prima che Alfonso venisse visitato. Inizialmente era stato accolto da un infermiere in divisa bianca, un ragazzo sui trenta anni dallo sguardo sveglio e leale, il quale gli aveva rilevato i principali parametri vitali (Pressione arteriosa, saturazione di ossigeno nel sangue arterioso, frequenza cardiaca e temperatura), poi gli aveva chiesto di stendersi su di una barella, quando Alfonso gli aveva detto di accusare un dolore al petto, ed aveva mandato un suo collega ad eseguire un tracciato dell'attività cardiaca.
Dopo Alfonso, altre quindici persone erano entrate in pronto soccorso e altre tre erano state condotte all'interno dal personale delle ambulanze che avevano recuperato i pazienti rimasti coinvolti in degli incidenti. L'uomo dello spazio, che si era dato il nome di Giuseppe perché era il nome di un noto eroe della penisola di cui aveva letto nelle sue fonti, si rese conto che la realtà era ben diversa da quello che aveva letto prima di scendere sul pianeta. La penisola non godeva affatto di “buona salute” ed il suo sistema sanitario non stava affatto riprendendosi. Ma perché la gente permetteva tutto questo? Come potevano lasciare che il servizio sanitario, che aveva sempre garantito cure a tutti, anche a quelli che non potevano permettersi un'assistenza privata, finisse in malora? Quello era uno dei misteri ai quali difficilmente – si disse il viaggiatore delle stelle – sarebbe riuscito a dare risposta.
Improvvisamente un infermiere gli si avvicinò: non era lo stesso che aveva accolto il suo amico ma era ugualmente gentile, anche se visibilmente stanco – “Ascolti, il signor Alfonso deve essere ricoverato una notte, lo terremo in osservazione breve” – L'infermiere abbassò lo sguardo – “Se le cose non peggiorano potrebbe essere dimesso domani, altrimenti si richiederà un ricovero in medicina”.
Il viaggiatore spaziale annuì e ringraziò l'infermiere – “Grazie mille. Mi dica: quando potrò tornare?”.
“Beh, adesso si è fatto tardi, le suggerisco di tornare domani ma in qualunque momento vuole, venga pure che l'accoglieremo volentieri”.
Giuseppe annuì e raggiunse l'uscita del pronto soccorso. La sua sete di giustizia pretendeva che facesse qualcosa, così decise di tornare alla fabbrica poi, però, si rese conto che lo stabile doveva essere chiuso a quell'ora. Si lasciò cadere su una sedia e fissò le porte elettriche dell'ospedale.
“Ha bisogno di qualcosa?”.
Il visitatore spaziale si voltò ed incontrò lo sguardo di un ragazzo dai capelli dello stesso colore del fuoco. Sul suo mondo di origine gli uomini avevano i capelli bianchi, castani o mori, mentre le donne biondi, castani o grigi ma nessuno aveva quel colore di capelli.
“Vedo che si guarda intorno con lo sguardo affranto. Io lavoro da un'altra parte e sono qui perché ho accompagnato un paziente in radiologia, dove dovrà eseguire degli esami. Adesso sto andando via. Ha bisogno di qualcosa?”.
Lo spaziale sorrise e scosse il capo – “Sei gentile, ma non ho bisogno di nulla. Ho un amico ricoverato in pronto soccorso e sono in pensiero per lui”.
“Io mi chiamo GS” – Disse il ragazzo dai rossi capelli – “Spero che il tuo amico non abbia nulla di grave”.
“Lo terranno una notte in osservazione, poi si vedrà”.
GS fece un cenno assertivo col capo – “Beh, io adesso vado”.
L'uomo salutò GS con un cenno del capo e lo fissò mentre si allontanava. Quel ragazzo aveva qualcosa di diverso anche se l'essere spaziale non avrebbe saputo dire con esattezza di cosa si trattava. Rimase ancora un po' seduto, indeciso su cosa fare. Vide numerosi uomini e donne, dalla pelle scura e vestiti di stracci, che entravano nell'ospedale con borse piene di cibo e vivande, coi volti allegri di chi vive senza dover pagare nulla. Il visitatore fece spallucce e si avviò verso l'uscita, fissò il cielo pieno di stelle in direzione di una in particolare e rimase assorto nei propri pensieri. All'improvviso una mano gli sfiorò la spalla.
“Ascolti, il signor Alfonso le chiede se, per cortesia, possa recarsi a questo indirizzo” – Era una donna con la stessa divisa bianca del personale in servizio presso il pronto soccorso e gli porse un pacchetto – “Dice che c'è qualcosa che sua moglie sta aspettando. Non si preoccupi, ha avvertito già la donna del suo arrivo”.
L'uomo spaziale fissò il biglietto e vi lesse sopra il nome di una strada poi, tornando a fissare la donna, scosse il capo – “Mi perdoni ma non sono di qui. Non so come arrivarci”.
“E' semplice” – Disse la signora, sorridendogli – “Ci si arriva con l'autobus numero tredici, che può prendere a quella pensilina. Dovrà scendere alla quarta fermata. Potrà prendere lo stesso autobus in senso inverso per tornare qui”.
Il visitatore annuì – “La ringrazio e dica pure ad Alfonso che non deve preoccuparsi, penserò io a recapitare questo pacchetto a sua moglie. Ma lei è un'infermiera?”.
La donna scosse il capo – “Sono un'operatrice socio sanitaria”.
“La ringrazio. Prendetevi cura di Alfonso, io tornerò appena possibile”.
La donna annuì – “Faremo il possibile” – Disse – “Anche se siamo sempre meno e l'utenza aumenta ogni giorno di più”.
Dopo aver salutato l'operatrice socio sanitaria, l'essere spaziale si avviò verso la pensilina dell'autobus e non dovette attendere molto: solo pochi minuti e l'autobus numero tredici arrivò.
Giuseppe fece molta attenzione alle fermate e alla quarta scese, chiedendo ad un passante se conoscesse la via in cui abitava la famiglia del suo amico. L'uomo, un anziano che portava a spasso un cane, gli indicò una stradina laterale e lo spaziale vi si avviò senza indugiare. Trovò facilmente il numero civico a cui abitava la famiglia di Alfonso ed una signora dai capelli castani richiamò la sua attenzione – “Lei deve essere l'amico di Alfonso e quello il pacco con le medicine per Carlo. La prego, salga!”.
Giuseppe udì un piccolo “click” e, vedendo che il portone del palazzo si era aperto, vi entrò senza indugiare. Salì le scale fino a giungere di fronte ad una porta aperta, una donna lo accolse con un gran bel sorriso: doveva trattarsi della moglie di Alfonso.