Da una stella lontana - Parte seconda

09.02.2015 13:38

Quando il visitatore dallo spazio entrò in casa, incontrò immediatamente il volto preoccupato della moglie del signor Alfonso. La donna era  giovane ma la preoccupazione le alterava i lineamenti del viso, nascondendone la bellezza. La donna non era molto alta ma sembrava avere un bel corpo, indossava un vestito scuro e ai piedi portava un paio di pantofole; gli occhi castani, grandi e profondi, erano colmi di lacrime.

“Signora, mi chiamo Giuseppe. Suo marito mi ha dato questo” – Porse il pacchetto alla donna che, asciugandosi una lacrima, annuì e gli fece cenno di entrare in cucina. La casa era piccola, un ingresso minuto che dava su quattro stanze: una era la cucina, l'altra il bagno e poi c'erano altre due camere. La cucina era anch'essa piccola, con un angolo cottura, qualche stipo ed una tavola al centro con quattro sedie.

La padrona si casa stava preparando qualcosa da mettere sul fuoco, una polvere nera messa all'interno di uno strumento piccolo e di metallo – “Non si disturbi, signora. Vado via subito!” – Nel guardarsi intorno, gli occhi del visitatore caddero su una fotografia appesa alla parete: Alfonso, sua moglie e due bambini.

“Sono i nostri figli” – Disse la donna – “E quelli siamo io e mio marito qualche anno fa, quando andava tutto bene”.

“Cosa è successo, poi?”.

La donna si sedette, gli occhi pieni di lacrime – “Mio marito ha perso il lavoro, abbiamo passato un anno brutto, attraversando molte difficoltà prima che lui trovasse questo nuovo lavoro. Ah, mi scusi, non mi sono presentata” – La donna gli porse la mano – “Melania, piacere”.

“Giuseppe, sono onorato” – Nel vedere tanta sofferenza, l'essere spaziale provò una infinita tristezza, mista ad un profondo senso di giustizia. Decise che non poteva abbandonare quel pianeta prima di aver tentato qualcosa per aiutare Alfonso e gli altri lavoratori oppressi dai soprusi.

“Signor Giuseppe, ascolti” – Gli disse la donna, col chiaro intento di volersi sfogare e liberare il cuore da un peso che portava da troppo tempo, senza condividerlo con nessuno – “Mio marito ha un carattere molto irruento ma non è cattivo, sta già attraversando un brutto periodo a lavoro, adesso anche questa!”.

L'alieno drizzò le antenne e fece un cenno affermativo, per invogliare la donna a parlare.

“Vede, signor Giuseppe, mio marito ha avuto problemi anche nella nuova ditta, dove le condizioni lavorative sono molto disagevoli e lui, come suo solito, non ha voluto tacere ed ha denunciato tutti i motivi di sofferenza dei lavoratori. Inizialmente, ha trovato molti colleghi disposti ad aiutarlo ma poi, forse perché sono stati minacciati in qualche modo, molti di questi hanno abbandonato la protesta ma mio marito, lui ha deciso di continuare a gridare, denunciando i disagi ed il datore di lavoro lo ha più volte minacciato di licenziamento. Alfonso insiste nel dire che non possono licenziarlo, così su due piedi, ma io mi preoccupo: se dovesse perdere nuovamente il lavoro, chi penserà ai nostri figli? In un periodo di crisi come questo, dove troverebbe un altro lavoro?”.

Lo spaziale stette ad ascoltare la donna, senza mai interromperla e annuendo di tanto in tanto. Quando la signora Melania finì di parlare, e solo allora, “Giuseppe” le disse ciò che pensava – “Signora Melania, quando le cose non vanno bene, bisogna denunciarle”.

“Ma non si può fare una crociata da soli, un uomo solo non potrà mai cambiare le cose!”.

L'alieno annuì – “Vedo che la pensiamo in maniera differente, signora ma non per questo non accetto il suo modo di vedere le cose. Le assicuro che suo marito si riprenderà, è stato colto da un leggero malore”.

“Io vorrei tanto correre da lui ma dove lascio i miei figli? Sono ancora piccoli e non ho nessuno qui che possa dar loro un occhio”.

“Signora, non si deve scoraggiare, né deve preoccuparsi. Tornerò io da Alfonso, resterò io con lui e lo riaccompagnerò a casa non appena sarà stato dimesso”.

“Grazie mille, Giuseppe”.

Il visitatore si alzò in piedi e scosse il capo – “Non deve ringraziarmi. Suo marito ha bisogno di aiuto ed io posso darglielo. Tornerò in ospedale, per vedere come stanno le cose” – E, senza aggiungere altro, “Giuseppe” uscì di casa e tornò in strada, sperando che gli autobus circolassero ancora. Avrebbe preso lo stesso mezzo che lo aveva portato lì, solo che questa volta sarebbe andato nella direzione opposta.

 

Tornato all'ospedale, l'uomo dello spazio – che aveva deciso di farsi chiamare Giuseppe – andò immediatamente al pronto soccorso, dove fu accolto nuovamente da quella spiacevole sensazione; cercò di non pensare e di non prestare attenzione alle decine di persone in barella o a quelle sedute sulle sedie o, ancora peggio, ai numerosi parenti in lacrime, ma si diresse rapidamente all'infermeria.

Quella che gli infermieri chiamavano guardiola era simile alla tenda di un campo da guerra: uomini e donne in divise bianche erano indaffarati: alcuni accoglievano i nuovi ingressi, registrandone i nomi in un archivio computerizzato, altri preparavano le terapie da somministrare, altri ancora portavano provette di sangue avanti e indietro. C'erano anche gli angeli in camice: i volti stanchi, negli occhi nessuna luce, sommersi da decine di pazienti bisognosi di aiuto e la lunga notte che sembrava non finire mai. E nonostante l'impressionante mole di lavoro che sommergeva i sanitari, la dolce signora trovò ugualmente il tempo di avvicinarglisi – “Credo che lei sia tornato per avere notizie del suo amico, il signor Alfonso...”.

L'alieno annuì.

“Adesso sta riposando, ha cenato e chiesto la terapia in anticipo e adesso  se la dorme. Può trovarlo dietro quel muro”.

“La ringrazio signora, davvero gentile”.

La donna, il bel viso provato dal terribile turno di lavoro, accennò appena a un sorriso e disse che si affrettava a portare l'ennesimo esame in laboratorio.

Giuseppe rimase un attimo fermo a fissare la signora che spariva oltre l'ingresso del pronto soccorso, cercò di ignorare la strana sensazione che lo pervase, una mano malvagia che stesse stringendo nella sua morsa quel piccolo ospedale, e si diresse verso il luogo in cui Alfonso era rimasto a riposare. Il suo amico era proprio lì, in un letto, e dormiva. L'alieno prese la sua decisione: di lì a poche ore sarebbe andato nella fabbrica per cercare di far ragionare il proprietario.

 

Fu così che, informatosi riguardo l'orario di apertura della fabbrica, Giuseppe vi si recò alle otto in punto ed arrivò appena in tempo, per vedere decine di operai marcare i cartellini e dirigersi verso le proprie postazioni di lavoro. Il visitatore lasciò che tutti i dipendenti prendessero posto, prima di entrare nella fabbrica e cercarne il proprietario.

Non appena fu dentro la fabbrica, Giuseppe fu accolto da uno dei due gorilla del capo e questi lo riconobbe immediatamente – “Ehi tu, che diavolo ci fai qui? Sei forse in cerca di rogne?”.

L'uomo dello spazio fissò il corpulento soggetto e, prima di parlare, ne studiò le caratteristiche: il suo corpo era robusto, i suoi muscoli potenti ma non sarebbe stato mai alla sua altezza. Uno scontro fisico con quell'uomo era da evitare – “Voglio vedere il tuo datore di lavoro”.

L'uomo fece una brutta faccia e gli si avvicinò, minaccioso – “Di un po', sei forse un legale? Alfonso ti ha assunto?”.

Lo spaziale scosse il capo – “Sono solo un suo amico, non sono un uomo di legge, ma ho ugualmente premura di incontrare il tuo capo”.

“Aspetta qui” – E, così dicendo, l'energumeno scomparve oltre un corridoio che dava sulla destra. L'alieno si sedette e fissò la segretaria, la quale – dopo una piccola occhiata – tornò a farsi gli affari suoi. Giuseppe credette di scorgere preoccupazione nel suo sguardo. Al piano di sopra si intravedevano di tanto in tanto giovani, ragazzi e ragazze, che andavano da qualche parte con dei fogli in mano e, ad un certo punto, giunse dall'alto una sfuriata; l'alieno non aveva dubbi: si trattava del datore di lavoro, lo stesso individuo che aveva più volte minacciato Alfonso di licenziarlo e che, la sera precedente, lo aveva fatto pestare. Malgrado la voglia di andare di sopra e cantarne quattro all'orco, l'alieno decise di tenere i nervi saldi, perché una delle prime cose che gli avevano impresso era stato l'autocontrollo.

“Abbiamo parlato col capo, è disposto a riceverti” – Il gorilla era tornato assieme al suo compagno. Giuseppe fece un cenno assertivo nella loro direzione e li seguì senza indugiare. Attraverso “il misterioso” corridoio sulla destra, Giuseppe giunse ad una rampa di scale che dava ai pieni superiori. Non disse nulla, ma vide chiaramente una scena che non gli era piaciuta molto: in un piccolo ufficio, sulla sinistra, un uomo di circa cinquanta anni stava palpando una giovane ragazza, la quale diceva col sorriso di smetterla ed era chiaramente contrariata. Anche se non era del posto, l'alieno aveva ricevuto una certa istruzione e sapeva bene come andavano le cose in luoghi come quello: la ragazza, molto giovane, aveva di sicuro ottenuto un contratto a tempo determinato e se cercava di far valere i propri diritti, rischiava certamente il posto.

Sul pianeta da cui proveniva il visitatore, storie come questa non si verificavano più da moltissimo tempo.

Attraverso la prima rampa di scale, lo spaziale arrivò al primo piano, lì dove c'erano gli uffici dei giovani amministrativi. Su nessun volto c'era il sorriso ma l'unica cosa che era possibile scorgervi era il malumore. Di sicuro quei ragazzi lavoravano per uno stipendio misero e, visto il carattere del datore di lavoro, chissà quanti rimproveri dovevano subire, senza poter dir nulla.

Ma era al secondo piano che si trovava l'ufficio del datore di lavoro ed era l'unica stanza presente all'ultimo piano dell'azienda. Uno dei due gorilla bussò alla porta e si annunciò, prima di entrare. I due omaccioni scortarono Giuseppe all'interno dell'ufficio: un ambiente molto grande, arredato con un acquario, diverse scansie piene di libri, una grossa scrivania dietro la quale era seduto il capo e un piccolo ufficio attiguo in cui doveva trovarsi la segretaria – una ragazza sui trentacinque anni, mora e di bell'aspetto – che, invece, era seduta sulla scrivania e confabulava col capo. Non appena vide Giuseppe, la donna si alzò in piedi e abbassò gli occhi. L'alieno passò lo sguardo dall'uno all'altra e poi ancora sul titolare: un uomo sulla cinquantina, di bell'aspetto ma dagli occhi perfidi.

“E così, sei venuto qui per parlarmi” – L'uomo si rivolse a Giuseppe – “Accomodati”.

Il visitatore dello spazio scosse il capo – “Sono qui per chiederle di riconsiderare il suo comportamento con i dipendenti”.

L'uomo si accese una sigaretta, prendendo un pacchetto di marlboro dal taschino del suo vestito di flanella – “Cosa intendi dire?” – Soffiò via il fumo – “Vuoi forse insinuare che io tratto male i miei dipendenti?”.

L'alieno non si lasciò intimidire, nemmeno quando i due gorilla gli si misero di fianco e lo guardarono in cagnesco – “Mi risulta che ieri notte, un vostro dipendente sia stato aggredito e pestato”.

“Ti riferisci ad Alfonso?” – L'uomo sorrideva.

“Proprio a lui” – Disse l'alieno – “Sono stato io stesso ad accompagnarlo al pronto soccorso, dove gli hanno prestato le prime cure”.

“Alfonso è andato al ps, si” – L'uomo annuì lentamente – “Ma solo perché ieri è caduto accidentalmente dalle scale. La discussione che ha avuto con me, del tutto pacifica, non c'entra”.

L'alieno si mostrò per la prima volta contrariato – “Vi ho visti io stesso pestarlo e sbatterlo fuori! Non la farete franca, non questa volta!”.

L'uomo non sembrava per nulla preoccupato ed il sorriso si allargò maggiormente – “Ne avete parlato con Alfonso?”.

L'alieno annuì – “Si ed è stato lui stesso a confermare quanto vi dico”.

L'uomo spense la sigaretta in un posacenere d'oro – “Io credo che sia stato tutto un malinteso e sono certo che Alfonso potrà confermare quanto vi dico”.  

“Io invece pensò che siate nei guai, signor...”.

“Oria, signor Vincenzo Oria”.

“Si, ebbene Signor Oria, voi siete nei guai, perché ho intenzione di denunciare i vostri misfatti alle autorità locali”.

“E con quali testimonianze?”.

“Quelle dei vostri dipendenti, perché non credo che Alfonso sia l'unico ad aver subito soprusi”.

Uno dei due gorilla lo afferrò per un braccio – “Senti amico, io credo che tu stia superando il limite. Se non te ne vai...”.

L'alieno fissò il suo avversario, senza fare una piega ma Oria alzò la mano destra – “Lascialo andare, Roberto” – Si alzò in piedi e si aggiustò la giacca – “Adesso lo farò parlare coi nostri dipendenti e vedremo” – Così dicendo, fece cenno all'alieno di seguirlo.

 

Giuseppe ebbe modo di parlare con molti ragazzi, il primo fu Rinaldo – un giovane di ventotto anni, appena laureato, addetto alla gestione clienti.  “Va tutto molto bene, il signor Oria è un ottimo team leader ed è grazie a lui che ho un lavoro, il mio primo lavoro”. Anna disse che il Signor Oria esigeva molto da loro, perché da quell'azienda non dipendeva solo lui ma anche decine di famiglie, quelle dei suoi dipendenti, ecco perché spesso era severo – “Ma sa essere anche comprensivo e buono” – Concluse la ragazza. La terza persona con cui Giuseppe parlò si chiamava Aldo ed era stato assunto da sei mesi a tempo determinato – “No, nessun problema. Si lavora duro ma si ottengono anche molte soddisfazioni, glielo garantisco”. Anche le altre quattro persone incontrate successivamente elogiarono le qualità del loro datore di lavoro e, alla fine, il signor Oria accompagnò il ficcanaso di sotto.

“Spero che sia soddisfatto” – Disse Oria, rivolgendosi al suo ospite – “Adesso che ha parlato con tutti quei dipendenti”.

“Signor Oria” – L'alieno si voltò verso l'uomo, fissandolo con disgusto – “Io credo che quelle persone, tutti ragazzi giovani intimoriti dallo spettro della disoccupazione – uno stratagemma a cui lei stesso ricorrerà per tenerli buoni – abbiano solo recitato una parte. Io ho visto cosa è successo la scorsa notte...”.

Uno dei due gorilla, stanco dei modi con cui Giuseppe si rivolgeva al suo datore di lavoro, lo afferrò per il bavero – “Senti amico, hai ascoltato numerose testimonianze di quanto il signor Oria sia giusto con i suoi dipendenti. Adesso non farci perdere più altro tempo!”.

La segretaria, ferma immobile dietro la sua postazione, prese a battere nervosamente con le dita sulla tastiera.

Giuseppe, stanco di tutta quella farsa, indispettito dai modi barbari del gorilla, gli afferrò il polso e lo torse. L'uomo, dapprima incredulo e successivamente dolorante, si piegò in due dal dolore. L'alieno lo spinse via, mandandolo a sbattere contro una colonna e volgendosi rapido verso il suo partner – “E tu stai fermo, se non vuoi che ti rompa le ossa!”.

“Signor Giuseppe, se non la smette di importunare i miei uomini, sarò costretto a chiamare la polizia!”.

Giuseppe si voltò allora verso il signor Oria, che aveva preso le dovute distanze – “Lo faccia, chiami pure la polizia!”.

L'energumeno si arrestò di colpo, senza sapere cosa fare, lanciando occhiate al suo titolare.

“Vedremo quando ascolteranno la testimonianza del signor Alfonso, vedremo allora cosa diranno le forze dell'ordine”.

“Il signor Alfonso sta entrando, eccolo. Adesso vedremo cosa avrà da dire”.

Giuseppe si voltò verso l'ingresso e vide il suo amico entrare proprio in quel momento; gli andò incontro e lo abbracciò forte – “Amico mio, ho visto con i miei occhi come vengono trattati i dipendenti di questa azienda ma nessuno sembra avere il coraggio di parlare. Adesso verrai con me, andremo alla polizia e...” – Ma Alfonso non sembrava volersi muovere. Nei suoi occhi c'era una strana luce e la sua espressione era triste; era come se volesse chiedergli perdono.

L'alieno realizzò in un attimo quello che stava succedendo, ancor prima che il suo amico glielo dicesse chiaramente.

“Fermati, Giuseppe. È tutto a posto”.

L'alieno non disse nulla, continuava solo a guardare l'altro negli occhi. Alfonso, senza riuscire – per ovvie ragioni – a sostenere il suo sguardo, gli disse che l'altra sera si era solo trattato di un malinteso – “Ero indispettito, e anche un po' brillo, per questo ti ho detto quelle cose. Mi dispiace”.

Giuseppe, nessuno potrebbe descrivere dettagliatamente l'espressione che assunse in quel momento il suo volto, abbassò lo sguardo e si sforzò di fare un cenno assertivo col capo. Parlò con voce calma, cercando di celare l'amarezza che provava in quel momento – “Ho capito, si. Ho capito bene”.

Alfonso non riusciva a dire più nulla, negli occhi sembrava esserci la spiegazione, quella stessa risposta che avrebbero dato centinaia di padri di famiglia: “mi dispiace ma se denuncio il capo, io perdo il lavoro e lui la fa franca. Il gioco non mi conviene”.

“Allora non lamentarti quando, la prossima volta, ti prenderanno a calci nei denti” – E, prima di andarsene, dopo che si fu già voltato, Giuseppe aggiunse – “Ricorda che se nessuno denuncerà le malefatte dei prepotenti,  questi continueranno e faranno i loro porci comodi”.

L'alieno stava per andarsene, portando con sé la delusione e l'amarezza, quando uno dei due gorilla lo afferrò per la camicia – “Ehi tu, vieni qui! Adesso mi hai proprio...”.

Il visitatore si liberò dalla presa, istintivamente, e la camicia finì a brandelli. E allora tutti videro il suo corpo.

“Ma cos'è?” – La segretaria, gli uomini che intanto si erano radunati nella hall, e persino Alfonso fissarono Giuseppe con l'orrore negli occhi. Cos'era quell'addome metallico, artificiale? La gente iniziò ad indirizzargli contro parole di disprezzo, persino Alfonso gli inveì contro.

“Sono un diverso, un alieno” – Disse il visitatore, senza ormai alcun timore – “Provengo da un mondo lontano dove, per vivere, subiamo delle modifiche in fabbrica, modifiche senza le quali io non avrei potuto sopravvivere nel mio mondo, né sarei riuscito a sopportare l'altissima velocità e compiere il viaggio che mi ha portato qui, da voi”.

“Ma cosa sta dicendo?”.

“Ma che razza di scherzo è?”.

I due gorilla afferrarono il povero deforme e lo spinsero via, facendolo rotolare sulla strada – “Vai via di qua, matto! E non farti più rivedere da queste parti”.

L'alieno si alzò ed i suoi occhi incontrarono quelli di Alfonso, il quale lo fissava in malo modo, come se avesse visto un mostro e lo indicava rivolgendgli parole sprezzanti. Al suo fianco comparve il signor Enzo Oria e sul volto aveva l'aria soddisfatta di chi, grazie al suo potere sulla società, riesce sempre a farla franca. Fissò con orrore il corpo modificato del visitatore e scosse il capo – “Avevo capito che lei avesse qualche problema, signore e adesso capisco anche il perché. L'operazione che ha subito, a seguito di chissà quale incidente, l'ha resa folle” – Si rivolse allora verso i suoi dipendenti, dando una pacca sulla spalla di Alfonso e sussurrandogli all'orecchio qualche complimento per il modo in cui aveva parlato, e disse – “Abbiamo interrotto troppo il nostro lavoro, muoviamoci, rimettiamoci tutti a lavoro!”.

L'alieno rimase lì, in mezzo alla strada, dove i curiosi lo fissavano ridendo, ed i lavoratori della fabbrica gli voltarono le spalle e tornarono dentro.

 

E così, il visitatore giunto da una stella lontana, decise di tornare al suo mezzo spaziale e di lasciare la Terra. Mente camminava per le strade, in cui la gente continuava ad additarlo, a guardarlo schifata o a ridere di lui, l'alieno si chiese se non fosse quello il motivo per cui, sul suo mondo ormai morto, avessero deciso di modificare i giovani, di renderli resistenti all'ambiente circostante e, allo stesso tempo, infondergli valori come l'onestà, la giustizia ed il rispetto.

Si” – Si disse l'alieno “Il mio mondo è andato in malora proprio perché si erano persi tutti i principi, lasciando troppo spazio all'arricchimento di poche persone a discapito dell'ambiente che, invece, è di tutti. Solo dopo che la terra è divenuta arida e l'aria irrespirabile, solo dopo che le acque sono divenute velenose e le derrate alimentari si sono ridotte,  la mia gente ha capito... troppo tardi!” – L'alieno, incurante ormai del mondo che lo circondava, desideroso solo di proseguire il suo viaggio attraverso il cosmo nella speranza di trovare una razza evoluta che avesse una soluzione per rivitalizzare il suo mondo, continuò a camminare, diretto verso le colline sulle quali aveva lasciato il suo mezzo spaziale – “Forse anche gli abitanti di questo pianeta, proprio come la mia gente, deve raggiungere il punto di non ritorno prima di capire, prima di rendersi conto che non è l'apparenza a rendere migliore una persona, né il potere a fare di un uomo un giusto; ma che solo il rispetto della giustizia rende un uomo migliore”.