La Bocciatura
Prova. GS, finito di leggere il capitolo, decise di vestirsi e uscire, ignorando i segnali chiari del suo corpo, provato e affaticato. Non poteva perdere l'occasione di uscire e divertirsi, una volta che si trovava nella sua città natale. Uscì assieme a Nunzio e agli altri amici e passò una serata tranquilla, perché – anche se avrebbe voluto divertirsi di più ed essere un po' più presente – l'avventura che aveva vissuto di recente e, forse, il viaggio in treno lo avevano sfiancato.
Quando tornò a casa, che non era nemmeno troppo tardi, GS andò direttamente a coricarsi. Suo fratello maggiore non c'era, perché faceva il turno di notte, quindi GS si ritrovò da solo ma prese sonno quasi subito, cullato dal rumore della pioggia in sottofondo. E così, GS scivolò in un sonno dolce.
Il mattino seguente, però, il ragazzo ebbe una brutta sorpresa al suo risveglio: aveva dolori dappertutto, gli sembrava quasi che lo avessero bastonato durante la notte. Ma GS sapeva benissimo che i dolori erano dovuti all'influenza, compagna che lo stava corteggiando già da diverso tempo e che aveva trovato il modo di stringendo in un gelido abbraccio, dopo la precedente notte quando, invece di restarsene al caldo – come era giusto fare – aveva deciso di uscire con i suoi amici.
Quando guardò la sveglia e si accorse che erano quasi le dieci, rimase basito: era da moltissimo tempo che non dormiva tutte quelle ore di fila! Considerando che era andato a letto passata da poco la mezza notte, il ragazzo calcolò di aver dormito quasi dieci ore! Alzatosi, si recò in cucina dove salutò i suoi genitori e prese un po' di caffè caldo, poi andò nella sala da pranzo, dove c'era suo fratello Giuseppe, e si sedette un attimo davanti al pc, intento a studiare cosa stava facendo suo fratello maggiore. Giuseppe lo salutò e gli diede un buffetto sulla guancia – “Fratellino, ti sei svegliato!”.
GS annuì, passandosi una mano tra i capelli.
“Quando sono rientrato stamattina russavi così forte che, inizialmente, credevo fosse accesa la radio!”.
GS sorrise – “Vado a lavarmi la faccia” – Disse e si diresse verso il bagno. Quando vide la sua immagine riflessa, si rese conto che non aveva proprio una bella cera, quindi si lavò il viso e i denti e tornò di corsa a letto, dicendo alla madre di chiamarlo poco prima del pranzo. Quando la madre gli chiese se non si sentisse bene, GS rispose che era solo un po' stanco: tutta colpa dei turni di lavoro che, negli ultimi tempi, erano diventati insostenibili.
La sua camera da letto gli avrebbe permesso di passare il tempo in qualunque modo avesse voluto ma GS optò per la lettura, così afferrò “Il Giardino dei Finzi-Contini”, accese l'abat-jour e si immerse nuovamente nel mondo di Micol.
Il narratore della storia descriveva del giorno in cui, ancora molto giovane, andò a vedere i quadri esposti a Giugno, scoprendo di essere stato bocciato in una materia: matematica. Il protagonista del libro non credeva fosse possibile esser rimandato, benché fosse pienamente consapevole di non aver dato il massimo in matematica ma contava sull'aiuto del professore di lettere. Purtroppo, le sue previsioni si rivelarono errate e la professoressa di matematica aveva deciso di non dargli la materia a giugno. Questo evento è molto deludente e segna il giovane ragazzo, che non era abituato alla bocciatura e, anzi, si considerava uno dei migliori studenti. Come affrontare i compagni di scuola, quegli stessi ragazzi verso i quali si era sempre sentito superiore, dal momento che loro venivano spesso bocciati in una o più materie a giugno e lui no?
Quando incontra Otello Forti, il compagno di scuola col quale studiava e nei confronti del quale era sempre risultato superiore, scopre che questi è stato bocciato in più di una materia e sdrammatizza il fatto che sia stato respinto in matematica. Ma il ragazzo non riusciva proprio ad accettare la bocciatura, vaga per la città in sella alla sua bicicletta, senza avere il coraggio di tornare a casa; chiedendosi come fare ad affrontare i genitori, rispondendosi che forse il padre lo avrebbe picchiato.
GS chiude il libro, mantenendo il segno con l'indice, e – fissando il vuoto – si mette a pensare al suo primo anno di scuole superiori; tornando al discorso della sua bocciatura in italiano. Era solo un caso che il primo brano di antologia che studiò fu proprio quello? Adesso il ragazzo rideva, ma ricordava bene di non aver preso quella bocciatura troppo bene all'epoca. Anch'egli si chiese con che faccia presentarsi a casa, il suo sconforto non era tanto l'essere stato respinto in italiano quanto, piuttosto, dover affrontare suo fratello maggiore, che lo aveva seguito negli studi. Difatti, la delusione di Giuseppe fu abbastanza evidente sia dall'espressione del suo volto, sia dalle sue parole – “Avrei preferito darti la soddisfazione di essere promosso!”.
GS abbassò lo sguardo, fissando le lenzuola. Per tutto quell'anno non aveva fatto altro che nascondere le lezioni di antologia al fratello e tutto questo per uno sciocco timore nei confronti dell'insegnante di lettere. Suo fratello Giuseppe, concentrato sulle altre materie (in particolare sulla stenografia e sull'algebra) non aveva mai fatto accenno ai compiti di antologia, che suo fratello minore ignorava. Quell'estate GS fu costretto a studiare sodo, perché suo fratello non si limitava a fargli studiare l'antologia ma lo faceva esercitare anche nell'esecuzione di temi, nel riassunto di brani presi da libri e nell'esercitarsi nell'analisi logica, grammaticale e del periodo. Quell'anno a settembre, quando sostenne l'esame di riparazione, GS venne promosso e affrontò l'insegnante di lettere senza alcun timore e quello, nonostante rappresentasse una delle più grande vittorie per il giovane svogliato che era allora il Cavaliere, non rappresentò neppure l'evento più importante!
Il ragazzo tornò a leggere il libro, sempre più deciso a scoprire come andava a finire la storia.
Il giovane protagonista del racconto vagava senza meta per la città, arrivando alla zona industriale, vicina alla stazione, fermandosi nei pressi delle Mura degli angeli.
“Ehi, sei proprio anche cieco”, fece una voce allegra di ragazza.
Era una ragazza, lo stava guardando dalle Mura degli Angeli. I suoi capelli erano di quel biondo particolare striato di ciocche nordiche, da file aux cheveux del lin, che era soltanto suo. Il giovane riconosce Micol Finzi-Contini. Si affacciava dal muro di cinta come da un davanzale, sporgendone con tutte le spalle e appoggiandovisi a braccia conserte. Si trovava a non più di venticinque metri di distanza e osservava il ragazzo da sotto in su: da abbastanza vicino perché riuscisse a vederle gli occhi; che erano chiari, grandi (troppo grandi, forse, allora, nel viso magro da bambina).
Micol gli disse che lo stava osservando da almeno dieci minuti e si scusò nel caso in cui l'avesse svegliato. Poi gli fa le condoglianze! Il ragazzo rimane molto colpito da quell'ultima parola, iniziò a chiederle il motivo della sua frase e, intanto, il viso gli si copre di rossore. Il ragazzo le chiese che ore fossero e lei, Micol, fissando l'orologio da polso, gli disse che faceva le tre in punto e fece una graziosa smorfia con la bocca. Micol parlava in un modo strano, insolito: lentamente, esaltando alcuni vocaboli che avevano un significato particolare solo per lei. Il narratore della storia definiva quel linguaggio: il “Finzi-Continico”.
GS arrivò all'ultima pagina di quel capitolo e la sua mente, intanto, tornava indietro nel tempo per l'ennesima volta ed egli sapeva che sarebbe successo, perché aveva capito che quel viaggio lo avrebbe portato verso il giorno in cui rimase folgorato dalla bellezza della sua vecchia fiamma, la stessa ragazzina che aveva adorato un anno prima!
Era una incredibile coincidenza ma anch'egli aveva incontrato la ragazza quasi nel giorno della sua bocciatura. Era una sera di metà settembre, GS era per strada assieme a Claude Falgar; entrambi stavano scambiando quattro chiacchiere, dopo essere andati a gettare la spazzatura, quando decisero di spingersi un po' più in là, verso il punto in cui sorgeva il palazzo della Congregazione, quella dimora che – adesso, dopo che la setta era stata invitata ad interrompere la sua politica belligerante, non faceva più alcuna paura.
Quella parte di strada, una sorta di vicolo cieco visto che terminava con un muro che divideva la strada dal parco al di là, era immerso nell'oscurità, illuminato solo dalle luci dei palazzi che si trovavano oltre il muro, una fila di automobili parcheggiate contro il muro di un fabbricato che sorgeva di fronte al palazzo sede della Congregazione sembravano testimonianze di un tempo lontano. Sulla loro destra i due ragazzi avevano l'ingresso al palazzo e, poco più avanti, le serrande di un vecchio negozio, ormai chiuso da tempo, e dell'officina meccanica. Forse per un celato timore di poter attirare l'attenzione dei membri della Congregazione, parlava sottovoce assieme al suo amico Claude e, come avvisati da un sesto senso, entrambi si voltarono un attimo prima che il portoncino in fondo al vicolo venisse aperto; non si voltarono nemmeno per guardare chi fosse, proseguirono a passo non tanto veloce – per non dare l'impressione di fuggire – ma abbastanza spedito da riuscire a lasciare quel pezzo di strada prima che la persona alle loro spalle li raggiungesse. Non avrebbe mai saputo (non lo seppe all'epoca e non lo sapeva nemmeno in quel momento) se anche Claude pensasse che si trattasse della madre dei loro amici, ma nella sua mente – chissà perché! – prese forma l'idea che si trattasse della signora che, in verità, era solita uscire proprio a quell'ora (le ventitré circa). Ma non si trattava della donna, bensì della sua figlia e fu solo quando ella lo chiamò, che realizzò la cosa!
Si voltò, allora, sfoderando un gran sorriso e ricambiò il saluto della ragazza. Anche in quel momento, a più di venti anni di distanza da quel giorno, GS aveva ben presente la bellezza disarmante della fanciulla: capelli mori lunghi e mossi, occhi grandi castani, un viso sempre sorridente, la pelle imbrunita, le forme aggraziate. Fu allora, in quel preciso momento, che se ne innamorò di nuovo! Fu quel rapido scambio di parole – “Allora, come va? Com'è andata la scuola?” – Le aveva risposto, con quell'aria un po' da gradasso che lo contraddistingueva all'epoca, che con la scuola era andato tutto bene, non aveva avuto alcun problema e lo disse sorridendo. A quel punto la ragazza gli fece una domanda, lasciandolo di stucco – “Sicuro di non essere stato respinto in una materia?”.
Aveva risposto, subito, che era stato rimandato a settembre in italiano ma che, avendo studiato sodo, avrebbe superato – di lì a pochi giorni – l'esame di riparazione senza nessun problema. La ragazzina lo salutò con un gran bel sorriso, scomparendo nell'antro che dava sul portone del suo palazzo. Non aveva dato grande peso all'episodio ma ne avrebbe avuto e per almeno i due anni successivi!
“E' incredibile come questo libro stia riaprendo la strada a ricordi che credevo sepolti per sempre negli anfratti più irraggiungibili della mia memoria!” – Pensò GS, ricordando come tutto avesse avuto inizio nel momento stesso in cui aveva visto il libro nella vetrina della libreria nei pressi della stazione. Aprì nuovamente il libro e si mise a leggere l'ultima parte di quel capitolo, scoprendo una cosa che lo lasciò di stucco!
La pagina seguente descriveva una scena in cui il ragazzo fissava la ragazzina dal basso delle mura, essendosi avvicinato ad esse. GS rifletté su quel particolare, arrivando alla conclusione che il protagonista della storia si senta inferiore a Micol, questo perché in diverse scene emerge un rapporto che pone la ragazza in alto e il narratore in basso, e la scena che lesse dopo ne fu la conferma: il narratore descriveva la scena in cui Micol lo guardava dall'alto in basso dall'alto delle Mura degli Angeli. In quella parte del libro GS conobbe anche Jor, il fedelissimo cane che seguiva la padroncina ovunque andasse; si trattava di un danese con due occhi di colore differente. Il capitolo si concludeva con la ragazzina che invitava l'altro ad entrare nel suo giardino, che si trovava al di là delle mura – “Vuoi che ti faccia venir dentro? Se vuoi, ti insegno subito come devi fare”.
GS girò pagina, pronto a leggere il capitolo successivo, ancora poco convinto di voler leggere tutto il volume, spinto a farlo solo perché lo aveva comprato e non gli sarebbe piaciuto lasciarlo in libreria senza averlo letto, ma gli arrivò dalla cucina la voce della madre che lo chiamava perché il pranzo era pronto in tavola. Il ragazzo sorrise e, chiuso il libro con l'apposito segnalibro a ricordargli il punto in cui era arrivato, scese dal letto e indossò la vestaglia.
In cucina, suo padre stava già colando la pasta. Gli si illuminarono gli occhi quando si accorse che il genitore aveva cucinato la carbonara ed il sorriso illuminò il volto sereno, aumentando ancor più la felicità per il fatto di trovarsi a casa dei suoi. Come era consuetudini, GS prese posto di fronte a suo padre, mentre suo fratello maggiore e sua madre sedevano alla sua destra, il primo vicino al padre – seduto a capotavola – e la seconda accanto a lui.
La carbonara preparata da suo padre era sempre eccezionale per lui! Il genitore la preparava con la pancetta e l'uovo, aggiungendoci una spruzzata di pepe ma arricchendo il tutto con un po' di panna da cucina! Il risultato era eccellente. GS, andando contro il suo voto di non mangiare troppa pasta, fece anche il bis del primo e poi, quando in tavolo fu portato il ruoto con le cime di rapa e le salsicce, mandò giù un bicchiere di buono vino rosso e riempì il piatto con un'abbondante porzione di carne e verdure!
Il ragazzo mangiò anche il secondo con molto appetivo, facendo il bis dei famosi “friarielli”, le cime di rapa tipiche delle sue parti; l'unica cosa che limitò fu il pane (pane buonissimo, che egli trovava ben diverso da quello che solitamente mangiava nella città del nord), anche se avrebbe voluto farsi un bel pezzo di pane con i “friarielli”, come quando era più giovane. Il pranzo proseguì con la frutta, di cui sia Giuseppe che sua madre erano ghiotti: se c'era una cosa che non mancava mai alla tavola della sua famiglia era proprio la frutta! GS mangiò una mela ed un'arancia e disse di essere sazio. Il ragazzo aveva appena gettato via le bucce nel cestino, che notò lo sguardo con cui suo fratello lo stava fissando; Giuseppe rideva e sembrava volergli ricordare qualcosa.
“Perché mi fissi a quel modo?”.
“Non stai dimenticando niente?”.
GS si accorse che anche suo padre e sua madre stavano sorridendo ma scosse la testa – “No, perché?”.
“Perché oggi tocca a te fare il caffè, ieri l'ho fatto io!”.
Il caffè! Un'altra consuetudine nella casa di GS era quella che, un giorno l'uno e un giorno l'altro, i due fratelli si alternavano a fare il caffè dopo pranzo. GS non amava molto fare il caffè, anche perché era abituato a prenderlo al bar e nell'abitazione in cui viveva nella città in cui lavorava non era solito farselo nemmeno al mattino, quando si svegliava, perché preferiva uscire e prenderlo al bar. Così, GS afferrò il contenitore della polvere nera, aprì la moka e riempì il bollitore di acqua, mise la polvere nera nell'apposito filtro dosatore e chiuse la caffettiera. Nel frattempo, Giuseppe si era già fiondato davanti al pc e a GS non rimase che attendere l'uscita della nera bevanda. Non appena il caffè iniziò a uscire, il ragazzo ne versò la prima parte in un contenitore in cui aveva già messo dello zucchero e, posata nuovamente la caffettiera sul fuoco, iniziò a mescolare lo zucchero e il caffè in modo da formare la crema.
Una volta pronto il caffè, il Cavaliere ne versò una tazza per suo fratello e gliela portò, dicendo alla madre che la sua parte l'avrebbe consumata dopo il consueto riposino pomeridiano. Ma, per non andare a letto appena finito di pranzare, GS uscì fuori al balcone, incurante del non essere in piena forma.
Inspirò a pieno polmoni l'aria fresca e si fermò a osservare il giardino. Vide un gatto che si muoveva lentamente ma il felino dovette accorgersi di essere osservato perché, dopo essersi immobilizzato per un attimo, alzò lo sguardo e incrociò il suo. GS sorrise, i gatti erano sempre stati tra i suoi animali preferiti; amava la loro eleganza, la grande agilità, lo spirito indipendente ed era rapito dalla profondità dei loro occhi. Il gatto si stufò immediatamente di fissarlo, perché pochi secondi dopo essersi fermato tornò a passeggiare tranquillamente per il giardino, fino a raggiungere un'apertura nella rete e a uscire fuori.
Il ragazzo si voltò alla sua destra e lanciò uno sguardo carico di malinconia verso quel lato del quartiere. Quanti pomeriggi aveva passato in quella strada, che adesso appariva deserta; persino il meccanico aveva chiuso e nessuno si recava in quella stradina. I membri della Congregazione avevano lasciato la città, persino la famiglia dei suoi vecchi amici era andata via; non c'erano più bambini che giocavano per strada e non si vedevano nemmeno passanti. GS fece spallucce, triste nel vedere che il suo quartiere era diventato povero. Si, povero, perché quando in una strada non ci sono bambini che giocano allegri, quella strada è priva di una delle più belle ricchezze del mondo: le urla dei bambini ed i loro sorrisi mentre giocano. Pensare che un tempo quella strada era stata il suo teatro per molti anni, gli sembrava appena ieri quando assieme a Claude Falgar e Giumpe giocava a nascondino o a calcetto con gli altri amici. Quando si voltò un attimo verso la sala da pranzo, GS ricordò quanti pomeriggi era stato costretto a passare in casa, perché doveva fare i compiti, mentre i suoi amici se la spassavano per strada! Ricordò come fosse ieri i giorni in cui suo fratello lo faceva studiare, costringendolo, per intere ore mentre dalla strada giungevano le voci allegre dei suoi amici. E quante volte venivano a suonargli il citofono? Era una tortura dover rispondere che non poteva uscire, perché doveva finire i compiti; quelle noiose lezioni alle quali lui teneva ben poco e che credeva di nessuna utilità!
Un sorriso alterò la forma delle sue labbra ma era amaro, come un clown che, costretto a ridere per recitare la sua parte, nascondesse dentro di sé tutta la tristezza di cui si faceva carico. Era anche colpa sua se ritardava le uscite in strada, gli sarebbe bastato concentrarsi e studiare, invece di passare intere ore, chiuso nella sua camera, senza far nulla. A quei tempi era più forte di lui: odiava studiare e restare chiuso in camera con i libri e i quaderni era una vera e propria tortura. Se fosse stato studente in quel momento, molto probabilmente non gli avrebbe pesato troppo passare il tempo imparando, perché non c'era proprio nessuno per strada. Quel quartiere era diventato molto triste: non si udivano le risate dei bambini, nessun ragazzino litigava perché il gol non era valido, i monelli non si azzuffavano. Quel quartiere stava diventando come un corpo senza anima. I ragazzini del suo tempo crescevano troppo in fretta, chissà come si sarebbero comportati loro con Micol. Ai ragazzini moderni, la bella Finzi-Contini non avrebbe fatto certo paura... o forse si? GS decise di tornare a leggere il libro, per scoprire cosa accadeva dopo la bocciatura!