Micol, Capitolo 15

17.05.2015 12:15

Due gruppi

 

 

Il rigido inverno sembrava aver stretto nella sua morsa l'intera città, come un freddo amante che cinga le spalle della propria compagna col suo gelido tocco. E quel freddo intenso, pensò GS, era lo stesso che aveva congelato la possibile relazione tra Giorgio e Micol. Forse Giorgio non se n'era ancora reso conto, magari fingeva di non sapere e si ostinava ma GS, l'osservatore esterno di tutta quella vicenda, si era accorto che tra i due c'era stata una spaccatura che ormai era difficile – se non impossibile – da risanare.

GS era fermamente convinto, per vissuti personali, che una volta incrinato il rapporto tra un uomo e una donna, se la spaccatura era significativa e profonda, difficilmente si riusciva a rimediare.

La sua mente corse indietro fino a giungere a qualche anno prima, quando era ancora un Cavaliere del Tempio della Mente. Si era fidato dei suoi compagni, ma questi lo avevano tradito. Era inutile ripercorrere tutte le vicende che lo avevano portato a quella conclusione ma ricordare quegli eventi gli servì per consolidare il suo pensiero: una volta avvenuta una forte frattura nel rapporto di due persone, sarebbe stato impossibile risanarla e, anche se “le ossa fossero tornate a posto”, difficilmente le cose sarebbero state come prima e prima o poi si sarebbero rotte di nuovo. Non era stato forse così anche per lui? Costantine, membro di quella che il Cavaliere considerava la sua vera squadra – benché non facesse più parte dei Cavalieri del Tempio della Mente ma fosse solo un Rinnegante –, che lo aveva accolto e affrontato in malo modo dopo il suo ritorno da Marte e col quale aveva litigato; Fhin, il Maestro in cui GS credeva più che in chiunque altro ma che spiava le sue mosse e riferiva tutto alla nuova Signora del Tempio. GS continuava a vederli entrambi, abbozzava un sorriso, faceva un cenno di saluto con la mano e con Costantine riusciva persino a prendere un caffè insieme ogni tanto, ma sapeva benissimo che le cose non sarebbero più tornate come prima.

Quel lontano giorno di qualche anno prima, quando di ritorno da Marte aveva trovato tre Cavalieri del Tempio della Mente ad attenderlo, tre suoi compagni pronti ad ammonirlo e anche a punirlo, GS era stato costretto a battersi contro di loro.

Si era trattato di un rapido scontro, qualche spintone, qualche pugno ben assestato; aveva scaraventato via Fhin e Costantine ed aveva trovato lei ad affrontarlo. Lei, la ragazza con cui più aveva legato, quella stessa persona che – sotto l'insegnamento del Maestro Fhin – , aveva condiviso con lui un periodo dell'addestramento per sostenere l'esame di Cavaliere del Tempio della Mente. Proprio Lei, quella stessa ragazza con cui aveva condiviso tante giornate di guardia al Tempio e che credeva leale, aveva sguainato la spada che portava al fianco e lo aveva attaccato. Quella volta, se non fossero intervenute le guardie del Tempio, uno dei due molto probabilmente non avrebbe visto l'alba del giorno seguente. Da allora in poi le cose non erano state più  le stesse.

Nel ricordare quegli eventi, mentre passeggiava per le vie della città, GS fece spallucce. Forse era lui ad essere troppo drastico anche se non lo credeva.

 

Durante uno di quei freddi giorni, uno durante il quale GS incontrò Giorgio e scambiò con lui qualche parola, il Cavaliere non riuscì a evitare di entrare in simbiosi con lui e fu allora che captò il pensiero del giovane e quel pensiero rispecchiava in pieno l'idea che si era fatto dell'inverno e della situazione in generale.

Giorgio non tenne quel pensiero per sé e lo esternò almeno in parte – “Sembra quasi che l'inverno non voglia più andarsene...”. Il ragazzo non aggiunse altro ma GS sapeva che il suo cuore era abitato da un oscuro, misterioso lago di paura, Giorgio si aggrappava allo scrittoio del Professor Ermanno. Quindi, pensò GS, Giorgio percepiva – come egli aveva giustamente ipotizzato – che tra lui e Micol le cose si erano irrimediabilmente compromesse. Cos'altro poteva essere quel lago oscuro, se non il negato presentimento che tra lui e Micol le cose non sarebbero più andate come prima?

Per due mesi e mezzo, Giorgio partiva da casa ogni mattina alle otto e mezzo, si trincerava nella casa dei Finzi-Contini, e non si muoveva di lì prima del tardo pomeriggio o della sera. Alle diciotto, Giorgio andava a trovare Alberto in camera sua, ove c’era quasi sempre Malnate e rare volte anche GS. Il Cavaliere, contrariamente ai due amici stretti di Alberto, non si tratteneva quasi mai a cena.

Al di là di GS, che a volte si fermava con Giorgio nella Biblioteca del Professor Ermanno, Giorgio non vedeva quasi mai nessuno. Solo Perotti passava spesso a trovare Giorgio; ogni mattina si presentava alle undici in punto, portando al ragazzo il caffè. In una di quelle  mattine, assieme a Giorgio c’era anche GS e udì Perotti parlare dei padroni. Parlare non è proprio il verbo indicato, lamentarsi sarebbe quello più appropriato. Perotti si lamentava dell’assenza di Micol e GS si trovava pienamente d’accordo; l’allegra biondina era quella che manteneva viva la casa, uno sprizzo di vita che portava sole in quel grosso sepolcro che era casa Finzi-Contini. Immaginare quindi l’espressione di GS, quando Perotti disse che l’assenza di Micol stava compromettendo tutta la casa. L’anziano inserviente aggiunse anche che, secondo lui, era inutile che la signorina si laureasse dal momento che le Leggi Razziali le avrebbero impedito qualsiasi sbocco. In altre occasioni Perotti si lamentava anche dei padroni, quando si riferiva alla Signora Olga, arrivava persino a toccarsi la fronte con il rozzo indice. Al di là del fatto che trovava molto singolare il fatto che l’uomo si lamentasse dei due padroni con due perfetti estranei, GS non poté che essere d’accordo con lui anche se non esternò questi sentimenti ai presenti. L’unica cosa di cui si accorse quella volta fu l’occhiata che gli lanciò Giorgio, forse il ragazzo aveva letto sul suo viso quelle parole che si erano fermate alla mente, senza arrivare alla lingua. Giorgio era un ragazzo molto sensibile e intelligente e di certo aveva colto al volo quello che il Cavaliere avrebbe voluto dire. In quel caso, distogliendo lo sguardo, GS si chiese cosa ne pensasse Giorgio della Signora Olga, lui che non aveva le idee compromesse dal parallelo con la famiglia protagonista dei suoi ricordi più cari. Il Cavaliere si tenne quella domanda per sé.

Uno degli altri giorni in cui GS passò da casa Finzi-Contini, per curiosare nella Biblioteca ma in realtà per seguire le vicende di Giorgio, al posto di Perotti si presentò sua figlia Dirce. GS si era allontanato un attimo, incuriosito dallo studio del Professor Ermanno, il quale ne era uscito un momento, lasciando la porta aperta. Il Cavaliere era così assorto dall’osservazione dello studio da non accorgersi della bella figlia di Perotti e, quando avvertì nell’aria il suo buon profumo, la ragazza era già entrata nella biblioteca.

Il Cavaliere si stava avvicinando all’uscio, quando udì i due giovani parlare e si immobilizzò di colpo! Inavvertitamente, GS entrò in forte empatia con Giorgio (in verità gli capitava sempre più spesso di sentirsi in simbiosi col giovane quando era nelle sue vicinanze) e notò che il cuore del ragazzo batteva a mille. Non riuscendo allora a trattenersi, GS diede una sbirciatina e notò che Dirce si era fatta tutta rossa. In quel momento un sorriso increspò le labbra del Cavaliere, che in quel rossore lesse molte cose.

GS fu costretto a distogliere immediatamente lo sguardo e far finta di pensare ad altro quando, dopo che gli sguardi dei due giovani si erano incrociati, Dirce fuggì inavvertitamente via. La sorpresa della figlia di Perotti fu grande, quando si trovò lui davanti. Il Cavaliere, facendo finta di accorgersi solo allora della sua presenza, accolse la ragazza con un gran sorriso. Dirce, già accalorata dall’incontro con Giorgio, abbassò immediatamente lo sguardo e strinse con maggiore forza il manico del carrello.

“Tu sei Dirce, vero?”.

La ragazza annuì e fece un cenno con la testa in direzione del carrello – “Posso servirle qualcosa?”.

“Del Tè, a quest’ora lo prendo sempre”.

Quando la mano di Dirce si tese verso il bricco del tè, GS allungò anche la sua. Le mani dei due giovani si sfiorarono e Dirce ritirò immediatamente la sua. Le sue guance si fecero ancora più rosse.

“Timidezza? È classica delle ragazze della tua età” – GS si versò un po’ di tè e anche una zolletta di zucchero, poi iniziò a mescolare molto lentamente senza mai distogliere lo sguardo dal viso di lei. Dirce, invece, appariva chiaramente a disagio e non riusciva a sollevare lo sguardo. GS non riuscì a trattenersi e abbozzò un sorriso prima di riuscire a tornare serio.

“Signore, devo andare via. La Signora Olga mi aspetta, devo finire alcuni lavori” – Dirce cercò di spostarsi ma GS non la lasciò passare. I loro occhi si incontrarono e in quel momento GS le afferrò le mani; inizialmente fece forza poi la sua presa divenne dolce.

“Non devi preoccuparti, non c’è nulla di male”.

Dirce alzò lo sguardo che adesso era divenuto dubbioso e scosse il capo per indicare che non aveva capito.

“Te lo si legge sul volto” – GS avvicinò il viso a quello di lei – “Sai, possiamo anche non dirlo ma certe emozioni compaiono sul viso, non possiamo nasconderle”.

GS appoggiò le sue labbra a quelle di Dirce, la quale cercò di opporsi ma le braccia di GS si serrarono intorno alla sua vita, stringendola con forza e decisione. A quel punto Dirce si lasciò completamente andare, la lingua di GS stava incontrando quella della ragazza; il  Cavaliere superò la sua resistenza e la baciò profondamente. Quel momento magico durò, purtroppo, solo il tempo di un battito d’ali di farfalla, perché GS udì i passi di qualcuno che si stava avvicinando; immediatamente lasciò andare la ragazza, che rimase alcuni secondi a fissarlo prima di allontanarsi in tutta fretta.

Il Cavaliere rimase lì dov’era e udì Dirce parlare con qualcuno. L’altro rispose dicendo qualche parola e dalla voce GS si accorse che si trattava di Perotti; attese che l’uomo arrivasse ma il faccendiere della famiglia Finzi-Contini tornò sui suoi passi ed il Cavaliere tornò nella Biblioteca.

“Dov’eri andato?”.

GS lanciò un’occhiata distratta al giovane studioso, aveva ancora sulle labbra il sapore della ragazza, un sapore dolce come un misto di fragole e miele. Quando incrociò lo sguardo di Giorgio, GS lesse in quegli occhi il pentimento e si domandò perché: non era mica un peccato provare attrazione per una ragazza bella e giovane come la Dirce! Poi il Cavaliere capì cosa stava passando per la testa di Giorgio e dovette trattenersi dal prenderlo a sberle. Il diligente studioso si era pentito di quello che aveva provato durante lo scambio di sguardi con la figlia di Perotti, perché lo aveva preso come un tradimento nei confronti di Micol. GS sperò vivamente di sbagliarsi, dicendo a se stesso che Giorgio poteva essersi pentito di quell’innocente scambio di sguardi dal momento che non voleva che la Famiglia Finzi-Contini pensasse male di lui. Forse in quell’epoca storica non era molto decoroso lasciar trasparire certe emozioni.

“Perché scrolli le spalle? E vuoi dirmi dove sei stato?”.

GS fissò il ragazzo come se lo vedesse per la prima volta – “Ho visto lo studio del professore, l’ha lasciato aperto, e mi sono incantato. È pieno di libri e oggetti antichi”.

Giorgio annuì, fissandolo col dubbio che traspariva dai suoi occhi espressivi. GS ebbe il timore che il ragazzo volesse intraprendere qualche discorso ma qualcuno di inaspettato lo salvò!

Il Professor Ermanno entrò nella Biblioteca e annuì in direzione dei due giovani. Il professore era l’unico membro della famiglia che andava a trovare Giorgio. In quell’occasione prese a congratularsi col giovane per l’impegno che metteva negli studi e si raccomandò che finisse presto la tesi. GS si chiese se il Professore facesse quelle raccomandazioni anche ai suoi due figli, Micol e Alberto. In quel momento GS si ritrovò a pensare che fosse stata l’insistenza del padre, affinché concludesse la tesi, a spingere Micol a raggiungere la città circondata dall’acqua, lì all’estremo nord. Ma Micol era una ragazza troppo indipendente per prendere consigli dal padre. No, Micol aveva maturato da sola la convinzione di terminare la tesi, di questo GS era piuttosto certo.

Piuttosto, GS si convinse che il professore fosse così confidenziale con Giorgio, perché si riteneva molto più affine con lui – appassionato ed intelligente studioso – piuttosto che con i suoi figli, così distanti e diversi da lui. Che Micol e Alberto fossero stati condizionati dalle convinzioni della madre al punto tale da diventare così chiusi e diversi dal loro genitore?

Sentendosi di troppo, GS decide di salutare i due uomini, trovando per lo scopo una scusa nemmeno troppo credibile. Prima di andare via, vide che il Professor Ermanno si era avvicinato di più a Giorgio e gli si stava rivolgendo in modo molto confidenziale. Il Cavaliere riuscì a percepire alcune parole del padrone di casa, il quale stava parlando di un suo presunto lavoro.

Mentre si avviava verso casa, GS non poté fare a meno di pensare allo studio del Professor Ermanno. Poco prima lo aveva visto e non era certo la prima volta che lo aveva fatto, ma ad una seconda occhiata si era reso conto di quante cose vi fossero. Lo studio, infatti, era pieno di libri sugli argomenti più disparati: lettere, scienze, matematica, fisica, economia, agricoltura, medicina e persino astronomia. C’erano anche un grosso mappamondo,  un leggio, dei barometri, un lettino da ambulatorio medico, una cassaforte verniciata di rosso scuro, clessidre di varia misura, un timpano di ottone e un pianoforte con due metromoni. GS era andato via e quindi non aveva visto la cosa più interessante dello studio, cosa che invece vide Giorgio.

Nello studio del padre di Micol c’era un grosso quadro, in cui era raffigurata la madre del Professor Ermanno: la Baronessa Josette Artom. Giorgio rimase rapito dalla bellezza della donna del dipinto: una splendida dama bionda, dritta in piedi, nude le spalle, il ventaglio nella mano guantata, e col serico strascico dell’abito bianco riportato in avanti a dar risalto alla lunghezza delle gambe e alla pienezza delle forme. Di tale bellezza era la Baronessa Josette Artom di Susenaga. Che fronte di marmo, che occhi, che labbro sdegnoso, che petto! Pareva davvero una regina.

Giorgio notò che il ritratto di sua madre era l’unica cosa davanti alla quale il professore non sorridesse mai. Nel suo studio, il Professor Ermanno mostrò a Giorgio il suo lavoro, che riguardava la raccolta delle iscrizioni del cimitero antico israelitico del Lido che si trovava nella stessa città in cui si era recata Micol per finire la tesi. In un secondo opuscolo c’erano, invece,  le poesie di una poetessa ebraica del seicento: Sara Enriquez. La poetessa aveva abitato in una casa a Ghetto Vecchio, ove aveva un salotto letterario e lì aveva intessuto rapporti anche con Leone da Modena, un dottissimo rabbino. Sara Enriquez aveva corrisposto per lettera col famoso Ansaldo Cebà, il quale aveva cercato di convertirla al cattolicesimo.

Il professore rimane molto confidenziale col suo ospite. In quell’occasione, il Professor Ermanno si alzò, girò intorno al tavolo, prese Giorgio sotto braccio, e lo condusse al vano della finestra… continuò, abbassando la voce come se temesse che qualcuno potesse udire e rivelò al ragazzo che riteneva molto importante lo studio sulla poetessa. Prima che Giorgio lasciasse la casa, Ermanno aprì la cassaforte e tirò fuori quindici lettere carducciane. Da quel giorno lo studio del Professor Ermanno rimase sempre aperto, così lui e Giorgio presero a comunicare più spesso.

 

Dopo quel giorno, GS – seguendo il consiglio di Franco – effettuò un salto che lo portò in avanti di qualche settimana. Venne il tempo della celebrazione della Pasqua Ebraica. Il Cavaliere non era stato invitato ma non riuscì a trattenere la sua curiosità e fece una capatina a casa Finzi-Contini nella sua forma eterea. La sua delusione fu grande quando si rese conto che Giorgio non era lì ma fu piacevolmente sorpreso dalla presenza di un'altra persona. Quindi Franco aveva calcolato meticolosamente i tempi!

Quel giorno Franco non c'era, proseguiva le sue avventure solitarie in quel mondo e GS si ritrovava sempre più spesso da solo. Non sapendo che altro fare, il Cavaliere decise di raggiungere la casa di Giorgio; ricordava esattamente dove si trovava, dal momento che Franco ce lo aveva portato molto tempo prima, così uscì nuovamente allo scoperto sotto forma di silenzioso fantasma e raggiunse in un lampo la casa del protagonista.

C'era qualcosa di strano nell'aria, la gente per la strada non era più serena come la ricordava e soprattutto i cittadini di razza ebrea apparivano più corrucciati e preoccupati che mai. Quello era senza ombra di dubbio l'effetto delle Leggi Razziali emanate di recente dal Duce, ma c'era qualcos'altro, uno strano alone scuro che sembrava circondare quelle persone. GS riconobbe in esso il gelido tocco della nera mietitrice e ricordò che fine avessero fatto gli ebrei in quel terribile periodo storico. Per la prima volta da quando si era ritrovato in quel mondo nato dalle idee di un celebre scrittore ormai morto da tempo, GS avvertì uno strano senso, un misto di dolore e distruzione, e si chiese se anche i due ragazzi – Giorgio e Micol – avrebbero fatto la stessa orrenda fine che sarebbe toccata a milioni di ebrei. Per un attimo, dimentico di essere solo un ospite in una storia già scritta, il Cavaliere pensò se non avesse potuto fare qualcosa... ma poi abbassò la testa.

Cosa poteva fare? Cosa avrebbero potuto fare anche dieci Cavalieri del Nuovo Ordine? La ferocia e la follia del reich era inarrestabile. GS avvertì la Fiamma pulsare dentro di lui, come se gli stesse chiedendo di battersi contro il Duce e fermare l'orribile genocidio di cui la penisola si sarebbe rese responsabile. Dov'era l'Armatura? Se si concentrava, in quella forma ectoplasmatica, GS riusciva a percepirne la presenza ma si rendeva conto che era molto distante... come se a dividerli fosse una distanza incolmabile di decine e decine di anni luce. La Fire Son era lontana da quel mondo e non poteva accedervi. Con i suoi sensi super sviluppati e la capacità di andarsene in giro senza esser visto cosa avrebbe potuto fare realmente? Nulla. Non avrebbe potuto far nulla.

GS tornò a guardare la strada, accorgendosi che le persone si dividevano in due gruppi: quelle che avrebbero vissuto a lungo e quelle che sarebbero perite in un modo orrendo! Per un attimo gli tornarono alla mente le nozioni di storia apprese alla scuola superiore e si sentì schiacciare dall'immane peso degli orrori cui sarebbero andate incontro quelle persone.

La follia dei Signori della Guerra non avrebbe risparmiato neppure donne, vecchi e bambini; le genti sarebbero state trattate alla stregua di sacchi da macello e sarebbero perite nei modi più brutali possibili! Molti degli ebrei non avrebbe trovato neppure degna sepoltura, i corpi sarebbero stati gettati in enormi fosse comuni, come immondizia da sotterrare. E quella storia, tutta quell'immensa follia, non era una favola nera ma una crudele realtà! Per la prima volta GS sperò che quella storia non lo coinvolgesse nella deportazione degli ebrei... sarebbe stata un'esperienza che non avrebbe sopportato!

 

 

 

 


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