Micol, Capitolo 9
In quella vecchia carrozza
Franco e GS erano divenuti alcuni tra i frequentatori più assidui di casa Finzi-Contini, entrambi perché trovavano il Giardino ed i pomeriggi passati a osservare le partite di tennis (e anche giocarle, nel caso di Franco) molto rilassante. GS più di Franco aveva un motivo in più per non perdersi un appuntamento con i due padroni di casa e, quando Franco glielo chiedeva, se ne usciva col fatto che la storia lo stava letteralmente prendendo. Franco non avrebbe mai creduto a quella che lui trovava solo una scusa, per lui GS continuava ad andare al Giardino perché era stato trafitto dagli occhi bellissimi di Micol.
Anche Giorgio, non più riluttante come un tempo, proseguiva i suoi incontri con Micol ed Alberto e finiva, sempre più spesso, per allontanarsi con la bella ragazza per proseguire la sua esplorazione del Giardino. E ogni volta che i due ragazzi si allontanavano, ignorando ostinatamente i discorsi di Malnate, tanto che questi aveva smesso di parlare quando restavano da soli, il Cavaliere espandeva i propri sensi e con essi le proprie percezioni per seguire la storia tra i due.
Una volta Micol presentò a Giorgio la famiglia di Perotti, perché nel loro passeggiare giunsero presso la casa colonica della famiglia. La casa di Perotti si trovava a metà strada fra la casa padronale e la zona dei frutteti e alla casa dei Perotti vi erano annessi fienile e stalla. I due ragazzi non potevano sapere che assieme a loro c'era anche GS, il cui corpo era rimasto seduto sulla sdraio nei pressi del campo da Tennis ma la cui essenza, guidata da sensi altamente potenziati, era lì con loro. Così anche il Cavaliere poté conoscere la moglie del signor Perotti, una donna dall'aspetto scialbo, triste e allampanato di nome Vittorina. Assieme a Vittorina c'era anche Titta, la moglie del figlio, una donna grassa dagli occhi celesti ed i capelli rossi che avrà avuto sui trentanni. La sposa stava allattando un bambino e Micol, accarezzandolo, chiese alla moglie di Perotti qualcosa, esprimendosi in dialetto, tanto che GS non afferrò una sola parola di quanto aveva detto. Fu solo quando Micol si voltò verso Giorgio, per spiegargli che la signora Vittorina faceva delle minestre di fagioli “monstre”, con la cotica di maiale, che il Cavaliere intuì cosa avesse detto in precedenza. Micol insistette affinché Vittonina mostrasse loro la stalla e la signora, tirando fuori una grossa chiave che portava nella tasca del grembiule nero, ne aprì la soglia e a GS non sfuggì l'occhiata triste, ma anche di compiacimento, che la donna lanciò ai due ragazzi.
Un altro giorno, sempre seguiti dalla invisibile presenza del Cavaliere, Micol e Alberto giunsero nei pressi di quello che la ragazza amava definire “vert paradis des amours enfantines”, cioè sotto le mura di cinta. La ragazza prese a mostrare le “tacche” sul muro, quelle che lei usava quando la scala non era disponibile. In quell'occasione i due ragazzi giocarono agli innamorati che litigano, perché Micol diceva di voler onorare quel luogo con una targa commemorativa, e Giorgio la canzonava dicendole che le parole da lei scelte formavano una frase troppo lunga. Dopo un breve “litigio”, durante il quale Micol alzò persino la voce, la padrona di casa si calmò e iniziò a parlare di quando era piccola, rivelando a Giorgio che invidiava i ragazzi che frequentavano la scuola pubblica, attendendo con ansia i giorni dell'esposizione dei quadri per potervisi recare.
GS comprese lo stupore malcelato di Giorgio e anch'egli, arrivato a quel punto, avrebbe chiesto a Micol perché non avesse frequentato la scuola pubblica, malgrado le piacesse tanto e, mentre Giorgio non poteva immaginarne la ragione, GS – condizionato sempre dall'esperienza dei suoi vecchi amici, la cui famiglia sembrava avere tante analogie con quella di Micol e di Alberto – temette di conoscerne già il motivo principale che aveva segregato i due ragazzi entro le mura di casa. Il Cavaliere non rimase per nulla stupito, quando Micol confermò i suoi sospetti con le sue parole ma non avrebbe mai dimenticato quello che la ragazza disse in quell'occasione.
“Il papà e la mamma, la mamma soprattutto, non volevano. La mamma, lei, ha sempre avuto l'ossessione dei microbi. Diceva che le scuole sono fatte apposta per spargere le malattie più orrende, e non è mai servito a niente che lo zio Giulio, ogni volta che veniva qui, cercasse di farle capire che non è vero”.
Nell'udire quelle parole, GS si sentì improvvisamente triste. Povera Micol, una ragazza così bella costretta a restare recintata entro le mura di un'enorme prigione a causa delle idee di una madre troppo possessiva e protettiva. Ma era davvero per Micol che provava tristezza o, forse, le parole dell'affascinante bionda non avevano fatto altro che dissotterrare alcune idee che erano finite sotto la cenere di un fuoco mai completamente spento, un fuoco che aveva preso a ardere quando la madre di due suoi vecchi amici aveva iniziato a isolare i figli a causa di problemi di religione? Micol e la ragazzina che era stata il suo primo amore avevano condiviso lo stesso, ingrato, destino.
Micol raccontò a Giorgio che, fattisi più grandi, lei ed il fratello avevano iniziato a ribellarsi a quell'assurda imposizione della madre, arrivando a frequentare l'università e ad andare persino a sciare – “Ma da bambini, che cosa potevamo fare? Io, molto spesso, scappavo”.
Mentre Micol raccontava delle sue fughe, interrotte perché i genitori, scoprendola, se l'erano presa molto a male, GS non poté fare a meno di sorridere. Almeno Micol aveva trovato il coraggio di ribellarsi ai suoi genitori, mentre la mite bruna ragazzina dei suoi ricordi più lieti quel coraggio non lo aveva mai trovato.
GS si sentiva molto triste ma le parole di Micol distolsero i suoi pensieri da quei cupi ricordi, disse a Giorgio che dopo aver invitato lui ad entrare nel giardino, non lo aveva fatto con nessun altro. Quelle parole strapparono un sorriso di divertimento al Cavaliere, che in quella cosa vi leggeva un chiaro messaggio di Micol. Dal comportamento di Giorgio, il ragazzo si chiese se non lo facesse apposta ad eludere tutti i messaggi, più o meno espliciti, che Micol gli lanciava ogni volta.
Micol aggiunse anche che non aveva invitato mai nessuno ad entrare nel Giardino, poi iniziò a parlare di quando lo vedeva al Tempio; lo fissava quando egli si voltava per parlare con suo padre e con Alberto – “Avevi occhi così celesti! Ti avevo dato in cuor mio persino un soprannome”. E quel soprannome era Celestino, così lo chiamava Micol. La ragazza aggiunse anche, senza troppi preamboli, di aver avuto persino una cotta per lui e che poi la vita era andata avanti e li aveva divisi. Fu allora, in quel momento, che Giorgio dovette ricordarsi di quel particolare e se ne lamentò – “Che idea, però, di mettere su un tempio tutto per voi. Cos'è stato, sempre per paura dei microbi?”.
Micol rimase vaga su quel punto e fu Giorgio a suggerirle la soluzione. Secondo il ragazzo, era stato il padre di lei – il Professor Ermanno – a ripristinare la Sinagoga spagnola ma Micol gli disse che, ancora una volta, era stata determinante la volontà di sua madre. Anche in quel momento, come poco prima, il Cavaliere si ritrovò da solo con la sua immensa tristezza e fu allora che scoprì di aver perso il contatto con i due ragazzi. Franco, sedutosi accanto a lui perché tutte le prede sembravano essere sparite, gli diede un colpetto al fianco – “Su con la vita, amico mio”.
Ci fu poi quel giorno in cui piovve a dirotto. In quell'occasione Giorgio e Micol si separano da tutti gli altri e vanno alla rimessa. In realtà non erano del tutto soli perché GS, che era divenuto una sorta di spia, era segretamente e invisibilmente sempre con loro.
Quando vide che Giorgio invitò la ragazza ad entrare nella rimessa, il Cavaliere si disse che finalmente aveva deciso di prendere l'iniziativa e di entrare in azione, e quasi lo invidiò. Ritrovarsi da soli con una ragazza così giovane e bella e dal carattere così pepato, era una fortuna per qualunque giovane.
Nella rimessa ci sono una carrozza e una Lambda e Micol invitò Giorgio ad entrare nella prima, battendo con la graziosa mano sul sedile. Il ragazzo salì a bordo della carrozza, chiudendosi la porta dietro. GS dovette fare uno sforzo considerevole, spingere oltre ogni limite sperimentato i suoi sensi, per riuscire a raggiungere i due ragazzi anche lì.
Il suono della pioggia giungeva lontano, ovattato così come le voci dei due giovani. GS non riusciva ad entrare nella carrozza ma le era abbastanza vicino da poter vedere i due giovani ed ascoltare le loro parole. E quelli stavano parlando della carrozza!
Il Cavaliere si disse che quella volta Giorgio avrebbe rimediato un ceffone, una sberla di quelle forti! Ma la storia andava avanti, poteva anche essere che il discorso sulla carrozza, e poi sul cavallo che la trainava nonostante i suoi ventidue anni, fosse solo un escamotage di Giorgio, un metodo per rompere il ghiaccio. Del resto – si disse il Cavaliere – che figura ci avrebbe fatto, se le fosse saltato direttamente addosso? Doveva aggirare l'ostacolo con qualche discorso, stuzzicare l'immaginazione di Micol, traghettarla verso luoghi fantastici e sicuri, prima di passare all'azione!
Perotti, era lui a prendersi cura della carrozza perché – a detta di Micol – odiava le automobili; andava lì ogni quindici giorni, armato di secchio, spugna, battipanni e pelli di daino. Nel parlare della carrozza, Micol non tralasciò di far trasparire tutta la sua riluttanza verso un mezzo ormai obsoleto e tenuto male.
Giorgio ribatteva, dicendo che secondo lui la carrozza, invece, era tenuta benissimo. Micol si spazientì nel sentire quelle parole e sbuffò persino, continuando a portare avanti la sua teoria della carrozza ormai inutilizzabile, mantenuta in uso solo per compiacere Perotti, che le era così attaccato. E ad un tratto avvenne qualcosa, una cosa che GS riuscì a intravedere solo parzialmente: Micol si era improvvisamente scostata da Giorgio, rannicchiandosi nel suo lato di carrozza. Il Cavaliere decise che non poteva assolutamente perdersi quella scena, così girò intorno alla carrozza, portandosi dal lato di lei. Intensificando la vista al massimo, in un modo che gli procurò non poco dolore, il ragazzo scoprì il volto acceso da un inconsueto livore, la fronte corrugata e quell'espressione che aveva visto assumere a Micol solo quando si impegnava per vincere una partita di tennis. Ma GS era convinto che non fosse questione di vincere un punto, quanto piuttosto il sentirsi offesa ad aver causato quella reazione nella bella Micol.
Il ragazzo, la spia silenziosa che seguiva ogni movimento dei due giovani, non era riuscito a seguire bene quella fase, colpa della carrozza e dei suoi vetri sporchi e appannati. E allora, se non era stato in grado di vedere quello che era appena successo nella carrozza, perché GS era così sicuro che il cambiamento di umore di Micol non fosse stato causato dall'audacia di Giorgio?
Secondo GS, che nel breve tempo che seguì (tempo durante il quale Micol recuperò la parola e riprese a parlare di quanto fosse messa male la carrozza) impegnò la mente in infinite congetture, Micol si era scostata proprio perché era stufa di tutti quei discorsi senza senso. Giorgio pensava alla carrozza e al fatto che fosse tenuta bene e la impegnava troppo seriamente in una discussione, magari senza senso, che lei aveva iniziato solo per creare l'atmosfera giusta e spingere lui a prendere l'iniziativa?
Quando Micol abbandonò la carrozza, senza mollare a Giorgio nemmeno una sberla, il Cavaliere si disse che quel ragazzo era stato proprio fortunato! Tu te ne stai con una bella ragazza, giovane e atletica, in una vecchia carrozza durante un temporale e invece di stringerla forte e strapparle un bacio – magari anche con la forza – te ne resti lì a parlare, tranquillamente, di carrozze antiche?
Quella sera Franco e GS rimasero a casa, per via del brutto tempo, approfittando nuovamente dell'ottima cucina della padrona di casa. Mangiarono dell'ottima carne e delle verdure grigliate così buone che GS affermò, senza esagerare, di non averne mai assaggiate di buone. E la Signora Greco non mancò di lanciare una frecciatina – “E non hai ancora idea di quante cose io sappia fare... sappia fare bene!”.
Franco lo fulminò con un'occhiataccia, poi iniziò a ridere e disse alla signora che, quasi sicuramente, era davvero brava a fare il caffè e che lui ne avrebbe gradito una tazza. Quando la donna si alzò, GS la vide seccata per la prima volta, ma nonostante non le andasse il modo in cui Franco le si era rivolto (forse perché aveva interrotto un gioco che iniziava a piacerle?), andò pazientemente a fare il caffè, lasciando da soli i suoi ospiti.
“Amico, mi sono accorto che ormai non fai altro che andare dietro a quei due” – Nel tono della voce di Franco c'era il rimprovero.
“In fondo è la loro storia, no?”.
Franco annuì e sembrò tornare più gioviale – “Ottima cena, vero? Questa signora cucina proprio bene. Peccato per la sua età, da giovane doveva essere stata una gran bella figliola!”.
GS sorrideva, Franco fissava il suo piatto come se avesse voluto farvi comparire nuovamente le pietanze, poi l'uomo riprese a parlare – “E' la loro storia, te lo concedo” – Nella sua voce GS credette di udire una nota di malinconia.
“Anche io, la prima volta che riuscii ad entrare in questo mondo, non feci altro che seguirli. Volevo rendermi conto se realmente Giorgio si fosse mosso in un determinato modo, commettendo degli errori terribili per un ragazzo, o se in qualche modo la storia potesse prendere delle pieghe diverse. A volte li seguivo per il solo piacere di poter ammirare Micol e farmi grande della mia esperienza” – Franco tornò a fissarlo sorridente – “Se fossi stato al suo posto, avrei certamente cercato di cullarla in qualche dolce sogno, prima di passare all'azione”.
In quelle ultime parole di Franco, GS vi lesse tutta la malizia di un uomo che bramasse il corpo di una donna bella e sensuale come Micol. Del resto chiunque avesse già maturato determinate esperienze, non avrebbe perso tempo con Micol, cercando di arrivare al dunque. Forse il problema di Giorgio era proprio quello, magari era ancora troppo inesperto per poter rivaleggiare con una come Micol. Poi le parole di Franco lo fecero trasalire – “E non sai quante volte abbia tentato di restare da solo con lei!”.
“Tu cosa?” – GS non credeva alle sue orecchie, dopo tutto il tempo in cui Franco gli aveva detto che la storia era immutabile, facendogli capire che era inutile cercare di corteggiare la bella protagonista, adesso se ne usciva con quelle parole.
Franco annuì – “Come credi abbia capito così tante cose di questo mondo?”.
Per tentativi ed errori. Franco, prima di capire come funzionavano le cose in quel mondo, aveva tentato molte mosse diverse.
“La prima volta che riuscii a penetrare in questa storia, oltrepassando quell'invalicabile confine che solo una mente molto fantasiosa ed aperta può permettersi di fare, mi lanciai immediatamente all'azione. Il secondo giorno che venni qui fui io ad andare nel giardino con lei, al posto di Giorgio!”.
GS se ne stava lì ad ascoltarlo, restando con la bocca aperta, non sapendo cosa dire.
“Ma lei, dopo avermi accompagnato per un tratto, iniziò a dire che c'era qualcosa che non andava. Io cercai di calmarla, tentando di attirare la sua attenzione sulla vegetazione rigogliosa, su quelle palme del deserto che lei tanto ama” – Nella voce di Franco, che lentamente si abbassava fino a diventare flebile come un sussurro, c'era amarezza – “Stavo quasi per riuscire a trascinarla al suolo, quando lei si scostò nervosamente da me – dicendo che non era così che doveva andare – e se ne tornò indietro senza dirmi niente”.
In quel momento entrò nella sala la Signora Greco, posando sul tavolo il vassoio con i caffè. Franco e GS bevvero la nera bevanda, conversarono ancora un poco con la padrona di casa, poi si ritirarono nel loro piccolo appartamento.
Quella sera, visto il diluvio che si era scatenato, nessuno dei due volle uscire e, prima di addormentarsi, GS tornò sull'argomento – “Franco... hai tentato altre volte di riuscirci con Micol?”.
L'uomo, dopo aver acceso una sigaretta e tirata una boccata di fumo, annuì fissando il soffitto bianco – “Quella prima volta fui costretto a restare da mero spettatore, perché Micol – dopo quel mio tentativo di approccio – iniziò a schivarmi e non ebbi più alcuna possibilità con lei”. La pioggia battente sembrava far riaffiorare i ricordi, cose di cui Franco non aveva parlato con nessuno, perché lui era un lupo solitario. Ma quella sera, spinto forse da un bisogno latente di parlare con qualcuno, continuò a raccontare.
“La volta successiva che sono venuto qui, ho cercato di sedurla in altre occasioni ma, per un motivo o per un altro, finiva sempre per respingermi e riavvicinarsi a Giorgio. Mi sono presentato nelle situazioni più inconsuete, stravolgendo del tutto il continum della storia. Una volta mi feci trovare nei pressi dal sandolino, dopo aver scoperto che per lei quello era un posto speciale.
Mi ero introdotto di soppiatto nel giardino, saltando il muro, e mi ero appostato lì. Sapevo che sarebbe venuta e lei venne. Mi colpì immediatamente il suo sguardo malinconico e allora capii cosa c'era nel suo cuore e cercai di sfruttare quell'elemento, feci appello a tutte le mie conoscenze, sfruttai al massimo tutto ciò che avevo imparato nelle mie numerose esperienze... e allora riuscii a darle un bacio”.
Franco spense la sigaretta, sul volto quel sorriso beffardo di chi, anche avendo vissuto una bella esperienza, era rimasto solo con l'amaro in bocca.
“Ma adesso dormiamo, domani ci toccherà fare un altro salto”.
Franco spense la luce e si voltò dall'altra parte ma, prima di addormentarsi – nell'oscurità rischiarata solo da qualche fugace lampo – l'uomo aggiunse qualcosa – “Preparati, perché domani ti insegnerò un altro trucco”.
GS rimase a lungo sveglio. Gli piaceva, gli era sempre piaciuto, ascoltare il suono battente della pioggia. Non poté fare a meno di pensare nuovamente a Giorgio e a quello che era accaduto quel giorno. In quella vecchia carrozza, il ragazzo aveva avuto una grande occasione ma non era riuscito a coglierla.
Il Cavaliere sospirò, si disse che quelle erano cose che capitavano ma in cuor suo aveva come il presentimento che qualcosa si fosse rotto per sempre. Fissò il soffitto nel buio della stanza e si concentrò sul rumore della pioggia, chiedendosi se l'improvviso temporale non segnasse la fine di qualcosa; sperò che le sue sensazioni non trovassero riscontro eppure era consapevole – se lo sentiva, lo avvertiva chiaramente – che con la fine della bella stagione e l'inizio delle piogge, era finito anche qualcos'altro.
Prima di addormentarsi il Cavaliere ripensò ai due ragazzi, soli, seduti l'uno affianco all'altra in quella vecchia carrozza.