Paulus Capitolo 1

07.03.2015 12:57

Era stato il viaggio spaziale a portare Fergus in quel nuovo mondo – che tanto nuovo non era, visto che in esso si rispecchiava il sistema solare – e quando vi era approdato, il robot si era subito accorto che qualcosa non andava ma non per lo spazio in cui era finito, che gli era molto familiare,  quanto piuttosto per la disposizione dei pianeti! Com’era possibile che fossero disposti in quel modo? Era come se avesse fatto un giro del sistema solare in un millesimo di secondo! E questo era impossibile.

Il sole splendeva con vigore ed il primo pianeta davanti a Fergus era Mercurio, dietro al quale si intravedeva Venere – ben più grande – poi la Terra ed era dietro al pianeta azzurro che doveva trovarsi Marte. Ma questo com’era possibile, se era partito proprio dal rosso pianeta?

Prima che Fergus potesse verificare la sua posizione attraverso la strumentazione di bordo della sua astronave, ogni pannello sembrò impazzire all’improvviso e l’agile astro-velivolo sembrò venire improvvisamente posseduto da una volontà aliena! Proprio così, Fergus si rese conto di non riuscire più a controllare i movimenti del suo missile spaziale. Ricorrendo ad un comando di emergenza, che si affidava ad un sistema idraulico piuttosto che a quello computerizzato, il robot di Marte riuscì ad abbandonare l’abitacolo del suo mezzo. Il robot si agganciò allo scafo del missile e si lasciò trascinare nello spazio.

La velocità a cui il missile per le esplorazioni era costretto a viaggiare lasciò il suo costruttore un tantino interdetto: nemmeno Fergus, infatti, riusciva a credere che il suo mezzo fosse in grado di resistere ad una simile andatura! Eppure il razzo ce la fece e, in pochissimi attimi, raggiunse uno strano satellite, grosso quanto un quartiere terrestre, situato nei pressi dell’asteroide 2004LG – l’asteroide che sulla Terra era classificato Near Heart. Com’era possibile che sorgesse una stazione – perché fu immediatamente chiaro che si trattava di quello, piuttosto che di un satellite. Pochi secondi dopo, quando il missile spaziale entrò in una sorta di hangar, Fergus si accorse che tutte le supposizioni erano esatte.

 

Robot.

Nell’hangar c’era un gruppo di strani robot. Erano piccoli e con un grosso testone sferico munito – almeno sembrava – da un unico e grande sensore ottico. All’apparenza erano molto semplici e non sembravano possedere strumenti offensivi.

Fergus, il Signore di Marte, comunicò con quegli esseri artificiali attraverso il linguaggio universale che accomunava tutti i robot dell’universo: i segnali luminosi. I piccoli guardiani risposero con lo stesso sistema e tra le due intelligente artificiali iniziò un semplice ma intenso colloquio. I robot presenti nell’hangar gli chiesero chi fosse e da dove venisse, aggiunsero anche che non conoscevano che modello fosse: era dell’Impero, proveniva da qualche angolo remoto delle colonie imperiali? Chi lo inviava e, soprattutto, perché?

Attraverso una serie di segnali di luce, Fergus rispose “pazientemente” a tutte le domande dei piccoli robot e non si stupì – data la semplicità dei suoi piccoli simili – quando comparve un essere umano e gli venne incontro. Il Signore di Marte aveva conosciuto molti esseri umani, dai terrestri agli uomini dell'asteroide, ma non aveva mai visto nessuno vestito a quel modo.

L'uomo si avvicinò lentamente, con andamento regale e sguardo duro. Indossava una strana tuta e sulle spalle portava un mantello svolazzante; il capo era protetto da un elmo che riproduceva il volto minaccioso di un rettile con le fauci spalancate e, in mezzo alle fauci munite di denti affilati e aguzzi, sporgeva il viso dall'espressione arcigna. L'essere umano, unica componente biologica di quel mosaico inorganico, fissò il Signore di Marte da capo a piedi poi, rivolgendosi ad uno dei piccoli esseri artificiali, disse – “ Da quale parte dell'Impero arriva?”.

“Signore, il robot qui presente non sembra appartenere all'Impero del Sats, è un modello sconosciuto” – Seguì un breve silenzio, poi il piccolo robot aggiunse ancora qualcosa – “Dalle prime analisi, si direbbe un robot di un altro settore dell'universo, un angolo che non è ancora stato incorporato nell'Impero”.

Incredibile! Fergus analizzò tutto quello che stava accadendo e decise, per il momento, di non proferir parola; pensò – invece – di analizzare bene i robot che lo circondavano. Essi erano dei modelli che potevano sembrare semplici, quasi antiquati per il modo in cui erano stati costruiti, eppure riuscivano a parlare. La parola, per motivi tutt'altro che chiari, era stata negata ai robot. Fergus, essendo molto più complesso rispetto gli altri robot dell'universo, una volta tornato attivo si era spesso interrogato sul motivo per cui un robot non dovesse possedere la parola. Lo stesso Signore di Marte, al fine di comunicare meglio con GS e con gli uomini della Terra, si era costruito un collare che gli permetteva di parlare in quasi tutte le lingue della Terra. Forse, la Luce – che aveva permesso agli uomini delle ere precedenti a quella della Terra di costruire i robot – aveva preferito che essi non parlassero perché quello doveva essere un dono proferito solo agli uomini. Forse ai robot non occorreva saper parlare, dal momento che bastava loro capire cosa dicevano gli esseri umani, al fine di salvarli dalla minaccia dei mostri spaziali. Le ragioni potevano essere tante ma restava il fatto che la maggior parte dei robot spaziali non parlavano.

 

Lo sguardo severo dell'essere umano era puntato su di lui, sembrava volergli studiare ogni singolo componente, come fossero capaci di superare la corazza esterna e penetrare la parte interna, al fine di scoprirne tutti i segreti.

“Io sono Mavor, supremo comandante delle forze del Sats, il più grande Impero galattico!” – La sua voce era dura come la sua espressione – “Dimmi da dove vieni! Chi ti ha mandato in questo settore dell'universo e perché?”.

Fergus aveva pensato bene cosa dire e, per il momento, non aveva intenzione di rivelare dati riguardo Marte o la sua gerarchia sul rosso pianeta. Qualcosa gli diceva che Mavor conosceva molto bene i pianeti del sistema solare e non era sicuro che dove si trovava, benché somigliasse moltissimo al sistema solare, le cose stessero come le ricordava lui.

Fergus comunicò attraverso il sistema di segnali luminosi. Fu uno dei piccoli robottini dalla testa grande e sferica a tradurre in parole i raggi di luce – “Si chiama Fergus, proviene da un piccolo pianeta al di là del sistema solare ed era intento a esplorare il nostro sistema solare”.

Mavors stava studiando il suo ospite, muovendo gli occhi in modo da guardarlo dall'alto in basso. Chissà cosa stava escogitando la sua mente, quando sembrò attirato da qualcosa. Fergus capì immediatamente, prima dal cambiamento della sua espressione e poi dal fatto che iniziò a parlare, che era stato contattato da qualcuno. Molto probabilmente si trattava di un suo superiore, a giudicare anche dal modo ossequioso con cui il generale si espresse durante la breve comunicazione.

Fu dopo appena pochissimi minuti che Mavors tornò a rivolgersi al suo ospite e sembrava averi ritrovato tutta la baldanza smarrita fino a pochi attimi prima – “Il Sats è già informato della tua presenza e vuole incontrarti. Ti scorterò io stesso fino a lui, muoviamoci” – E, così dicendo, il generale Mavors si voltò e si diresse verso il punto dell'hangar al quale aveva ancorato la sua nave spaziale.

 

Attraversarono tutto l'hangar per raggiungere il punto in cui Mavors aveva lasciato la sua astronave.

Era enorme ed era certamente una nave da guerra. Fergus studiò con attenzione ogni particolare che gli riusciva di cogliere: dalle bocche di fuoco alle pareti dell'astronave. Doveva trattarsi di una tecnologia molto più evoluta rispetto quella della Terra e nemmeno le conoscenze della dinastia Adams potevano paragonarsi a quelle del Sats. All'esterno dell'astronave, davanti ad un ingresso, c'erano dei robot. Questi erano molto differenti da quelli che avevano accolto il Signore di Marte all'hangar. I robot di sentinella alla nave spaziale erano longilinei e costruiti con uno strano metallo bluastro; il loro aspetto era antiquato e semplice, ad un terrestre avrebbero ricordato i tanti robot immaginati nei romanzi e poi trasposti nei film di fantascienza nei primi anni cinquanta e sessanta. Un'altra cosa che colpì immediatamente Fergus fu il fatto che i robot non possedevano armi, né da fuoco né da taglio ma il Signore del pianeta rosso era certo che i mezzi offensivi fossero nascosti nel corpo di quei robot, pronti a essere sfruttati in caso di bisogno.

Mentre saliva a bordo dell'astronave, procedendo di pochi passi indietro rispetto all'umano che rispondeva al nome di Mavors, Fergus analizzò in un lampo tutte le sue possibilità. Fu costretto a scartare immediatamente la fuga, poiché i numerosi robot al servizio dell'umano non gli avrebbero permesso di farlo – affrontarli tutti sarebbe stato un grosso azzardo! –  e non poteva neppure ricorrere al suo teletrasporto per raggiungere un altro posto, dal momento che tutte le coordinate presenti nel suo sistema sembravano non corrispondere ad alcun punto presente in quell'universo! Tentare di teletrasportarsi in quel momento, avrebbe significato smarrirsi chissà dove, disperdersi nei recessi di un universo che – ormai Fergus ne era sempre più convinto – non era il suo.

Il Signore di Marte non ebbe altra scelta che prendere posto nella sala comando della grande astronave nella quale, assieme a lui e a Mavors, c'erano due robot piloti.

L'astronave lasciò presto l'hangar, diretta in un punto lontano dello spazio. Vista l'enorme velocità raggiunta dal velivolo spaziale – al cui confronto il missile utilizzato dal Signore di Marte era solo un giocattolo –, raggiunsero i confini del sistema solare in pochissimi attimi poi il mezzo spaziale di Mavors rallentò per dirigersi verso uno strano pianeta.

“Stiamo per arrivare al cospetto del Sats”.

Fergus ascoltò le parole di Mavors senza dire una parola, l'unico pensiero formulato dalla sua complessa mente artificiale era l'abbozzo di un piano di fuga. Ma come poteva sfuggire a un sistema così complesso? E mentre l'astronave di Mavors puntava dritta verso un misterioso pianeta che Fergus non aveva mai visto prima, il Signore di Marte si chiedeva chi o cosa fosse questo Sats di cui parlava il generale. L'astronave incrociava la rotta di altri mezzi spaziali grandissimi, i quali sembravano provenire dal pianeta sul quale puntavano.

“Sembri essere rimasto rapito dall'immensità del nostro impero” – Gli disse Mavors – “Eppure, come tutti in questo universo, avresti dovuto conoscere la grandezza del Sats! O, forse, vivi in un mondo così isolato da non conoscerci?”.

Fergus non comunicò in alcun modo, nemmeno per mezzo dei segnali luminosi; vide che Mavors si voltò verso uno dei due robot piloti – “Questo è un modello davvero antiquato, dubito persino che capisca le mie parole! In confronto a voi è solo un burattino di metallo”  – E, dette quelle parole, il generale prese posto nella sala comando – “Portiamo questo giocattolo dal Sats, facciamolo presto perché voglio tornare presto a occuparmi di altro”.

 

L'astronave giunse a destinazione, dopo aver sorvolato intere città. Fergus vide le immagini che passavano su uno schermo: si trattava di città molto progredite, dalla tecnologia indubbiamente avanzatissima.

Il mezzo spaziale atterrò – “Stiamo scendendo nello spazio porto, adesso conoscerai il Sats”.

Il Signore di Marte venne scortato all'interno di un immenso edificio dalle pareti di acciaio lucente. Per le strade c'erano numerosi esseri umani, molto simili a quelli della Terra anche se – allo stesso tempo – presentavano delle differenze dagli uomini che aveva conosciuto Fergus.  Il robot alieno, perché tale appariva Fergus agli occhi delle genti dell'Impero del Sats, venne scortato – attraverso una intricata rete di cunicoli e tunnel – fino ad un altro edificio. Mavors ed i suoi robot erano sempre avanti a lui. Basandosi sulla sua analisi, il Signore di Marte identificò il generale del Sats come un uomo burbero, troppo dedito al dovere e non sapeva ancora se era così per carattere o per via dell'obbedienza dovuta al Sats. Erano stati una serie di elementi a portare Fergus verso quel risultato e, in primis, l'espressione del volto. E anche per il resto degli uomini presenti in quell'immensa città era evidente una fece cieca nel Sats. Ma chi era il Sats? Mavors ne aveva parlato, descrivendolo come un grande impero e come un essere intelligente. Che fosse entrambe le cose? Di lì a poco lo avrebbe scoperto, perché Fergus sapeva che Mavors lo stava conducendo al cospetto dell'Imperatore in persona!

 

La città era quanto di più caratteristico Fergus avesse mai visto, in essa vedeva realizzato il suo sogno: uomini e robot camminare finalmente fianco a fianco per le strade. Gli esseri di metallo, infatti, erano presenti liberamente in ogni angolo della città e molti di essi passeggiavano assieme agli esseri umani. Nel mondo a cui era abituato lui, invece, i robot erano ancora sconosciuti ai più, costretti a muoversi in modo circospetto, tenuti solo ad intervenire in caso di una minaccia reale, per poi sparire nel nulla. Il sogno di Fergus, invece, comprendeva un mondo in cui l'uomo ed il robot avanzavano fianco a fianco lungo il sentiero che portava verso il domani, incontro al futuro.

Molti dei robot presenti lungo le strade erano identici tra loro, come se fossero stati prodotti in serie e al Signore di Marte ricordarono molto i robot soldato di Marte, tutti identici tra loro e dotati di un Cristallo della Mente molto semplice, contenente poche informazioni relative soltanto al pattugliamento e alla difesa delle diverse città marziane. Quell'elemento – ammesso che realmente quei robot fossero semplici come pensava – avrebbe potuto giocare a suo favore perché, e su questa cosa Fergus non aveva dubbi, non era un robot semplice come quelli che stava ammirando. Ma i robot erano molto numerosi e chissà quali armi possedevano, anche partendo dal presupposto che fossero inferiori a lui in fatto di intelligenza e di resistenza come avrebbe fatto a sopraffarli tutti?

Il Signore di Marte sapeva di trovarsi in un contesto del tutto nuovo e, forse, ostile nei suoi confronti e se le cose si fossero messe male, avrebbe dovuto tentare la fuga e, nel farlo, si sarebbe trovato a combattere contro i robot dell'Impero del Sats. Ce l'avrebbe fatta da solo? Il robot di Marte controllò nuovamente la mappa collegata al prodigioso sistema di teletrasporto ed ebbe la conferma che la strumentazione non riconosceva più alcuna coordinata immagazzinata in tanti anni. Benché il suo delicato cervello robotico cercasse incessantemente una spiegazione a quel fenomeno, Fergus non riuscì a trovare una risposta che potesse risolvere quell'enigma; l'unica che riuscì ad elaborare fu che si trovava in un settore inesplorato dell'universo, ma questo era inesatto dal momento che aveva visto bene i pianeti del suo sistema solare. Ma allora cosa stava accadendo?

Mentre proseguiva il suo cammino attraverso la città spaziale dell'Impero del Sats, Fergus si concentrò su quello che gli era accaduto. Tutto era iniziato con la tremenda collisione tra due enormi meteoriti; a seguito della quale si era liberata una grande quantità di energia, tale da alterare persino il funzionamento della strumentazione del suo missile. Ma poi cosa era avvenuto?

Ripercorrendo ogni singolo istante della sua missione, il Signore di Marte ricordò di essere giunto in un sistema che sembrava speculare nei confronti di quello solare da cui proveniva. Era quella la chiave di tutto, Fergus doveva innanzitutto capire cosa era accaduto e se c'era un modo per tornare al suo pianeta. E fu scavando attraverso la memoria, spolverando nozioni che aveva appreso dopo il suo risveglio, quando aveva avuto l'occasione di studiare numerosi tomi compilati dagli scienziati terrestri, che il Signore di Marte riuscì a farsi una vaga idea del fenomeno che lo aveva interessato. Una teoria in particolare poteva spiegare, almeno in parte, la situazione in cui si trovava. Gli scienziati terrestri l'avevano definita Teoria delle stringhe e attraverso essa avevano cercato di spiegare la presenza di diversi universi, definiti paralleli. Non poteva che essere quella la soluzione: era finito in un universo parallelo! Era stato un certo Brain Greene a formulare la teoria delle stringhe, partendo dal presupposto che l'universo, essendo infinito, poteva ospitare un'immensità di universi paralleli e ne aveva ampiamente “discusso” nel suo libro “L'universo elegante”. Fergus, quando si era imbattuto nel libro, non si era mai interrogato (non aveva mai analizzato se il contenuto del tomo potesse essere veritiero o meno) sulla possibilità che la teoria delle stringhe potesse essere vera o meno, ma in quel frangente dovette ammettere che lo scienziato terrestre aveva ragione!

Ma altri interrogativi restavano ancora irrisolti. Ammettendo che fosse finito in un universo parallelo, come era riuscito ad accedervi? Un attimo prima era nel suo sistema solare e quello dopo si era ritrovato in una versione speculare dello stesso, così, senza il minimo preavviso e solo la disposizione dei pianeti lo aveva messo in allarme. Doveva tornare nel punto esatto attraverso il quale aveva avuto accesso in quell'universo? E qual'era il punto preciso in cui i due universi erano entrati in contato? Sarebbe stato capace di risalire alle coordinate esatte?

Il missile! In un attimo Fergus realizzò che soltanto il suo missile poteva rispondere all'ultima domanda. Nel sistema di navigazione doveva essere rimasta la registrazione relativa agli ultimi passi che aveva fatto. Il Signore di Marte controllò rapidamente le coordinate memorizzate nel sistema di teletrasporto e scoprì che poteva tornare in qualunque momento presso l'hangar in cui era rimasto il missile spaziale. Ma prima avrebbe incontrato il Sats, non era una mossa saggia andare via, l'impero che lo ospitava avrebbe potuto interpretare male il suo gesto, e allora sarebbe stato molto difficile recuperare il razzo spaziale e tornare verso il punto di incontro dei due universi. Inoltre, Fergus aveva bisogno di tempo per analizzare la sua teoria e scoprire se era corretta e, per farlo, aveva bisogno di fonti da consultare. Forse l'Impero del Sats poteva aiutarlo, fornendogli materiale di studio. Il suo ritorno al sistema solare al quale erano appartenuti Lord Adamas III ed il suo creatore – Spectros – dipendeva dal rapporto che avrebbe allacciato col Sats, quindi gli conveniva incontrarlo. Solo quando il misterioso imperatore lo avrebbe conosciuto, il Signore di Marte avrebbe potuto chiedere il suo aiuto. Forse il Sats voleva solo sincerarsi che non costituisse una minaccia, poteva essere un ragionamento sensato per il dominatore di un grande impero.

 

Le strade si susseguirono numerose e Fergus si chiese perché mai Mavors avesse deciso di abbandonare l'astronave così lontano rispetto il punto da raggiungere, poi capì che il punto in cui erano atterrati doveva essere l'unico spazio in cui erano autorizzati a lasciare la grande astronave.

“Ecco il palazzo del Sast” –  Disse Mavors, col suo tono autoritario – “Tra poco ti troverai al cospetto del nostro imperatore!”.  

 

 

 

 

 

 

 


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