Spettri
Mancava un giorno. Ancora un giorno e poi sarebbe tornato al Tempio della mente. Le ferie erano finite e gli toccava tornare a lavoro. GS stava per diventare a tutti gli effetti un Cavaliere del tempio, avendo concluso il primo ciclo di corsi. Quindi presto avrebbe dovuto prestare assistenza a coloro che chiedevano l’aiuto ai membri del tempio. Lo stipendio era sempre lo stesso ma doveva svolgere dei turni anche nel palazzo dedicato all’assistenza diretta ai pazienti.
Al Tempio si trattavano essenzialmente i disturbi della mente (cosa poteva essere guarito in un posto chiamato Tempio della Mente?). GS si era recato spesso nel nosocomio, quando il suo maestro Eryon era in turno ed aveva avuto modo di vedere la tipologia di paziente assistito lì. Per lui sarebbe stata un’esperienza del tutto nuova e piacevole. In fondo da quando si era laureato, GS non aveva chiesto che lavorare presso un servizio psichiatrico. Di lì a poche settimane ne avrebbe avuto l’opportunità.
I turni di lavoro erano essenzialmente stabili e si alternavano con quelli di sentinella al tempio. In pratica GS avrebbe prestato servizio presso il nosocomio per tre volte a settimana ed uno o due turni di sentinella al Tempio centrale. Oltre a lavorare e fare la sentinella, GS doveva proseguire la sua formazione. Ma forse stava correndo troppo: doveva prima di tutto vedere se fosse riuscito a superare l’esame la prossima settimana e poi pensare al futuro.
“Cosa c’è zio? Mi sembri molto preoccupato”.
GS si voltò verso sua nipote. Era Erita, la seconda figlia di suo fratello maggiore. Aveva deciso di fare una passeggiata con lui. Erano stati alla villetta di recente costruzione, poi alla famosa gelateria proprio di fronte, sull’altro lato della strada. Avevano mangiato un delizioso gelato a frutta, poi si erano incamminati sulla via del ritorno. Giunti nei pressi della strada che portava sotto il suo portone, GS e sua nipote avevano deciso di salire ancora ed allungare così il cammino. Avevano superato il bar pasticceria, la pescheria e si erano fermati solo un attimo nel piazzale dove si radunavano gli anziani del quartiere. GS lanciò una rapida occhiata in giro, per scoprire se suo padre fosse lì. Lo vide che parlava con due anziani, sull’altro marciapiede. Decise di non disturbarlo, tanto lo avrebbe visto un’ora dopo a casa, e proseguì verso il suo quartiere. Assieme a sua nipote era passato fuori il bar più famoso della sua strada ed aveva lanciato una fugace occhiata all’interno in cerca di un suo amico. Purtroppo Natale non era al bar quella mattina. In seguito avevano percorso la strada che portava a casa sua. Poi sua nipote lo aveva distolto dai suoi pensieri.
“Stavo pensando ad alcune faccende” – Le disse lui.
“Di che si tratta?” – Gli chiese la ragazzina. Sua nipote aveva quasi quindici anni. Era più alta di lui e di bella presenza, anche se dai suoi occhi si poteva subito vedere che era una bambina. Portava i capelli lunghi e gli occhiali.
“Questioni legate al lavoro”. GS si voltò distrattamente verso il lato che un tempo era appartenuto alla Congregazione. Ogni volta che si trovava in quell’incrocio non poteva fare a meno di lanciare un’occhiata da quella parte. Ma quella volta rimase senza parole.
“Cos’hai adesso, zio?”.
GS non riuscì a rispondere. Era rimasto come rapito da quell’immagine. Erita si voltò verso la parte dell’incrocio visionata dallo zio ma vide solo due bambini che giocavano con una palla – “Cosa stai guardando? Conosci forse i due bambini?”.
“E’ impossibile” – Disse GS con un filo di voce – “Erita, fammi compagnia”. Era quasi come se avesse paura di tornare in quella strada.
Sua nipote lo accompagnò, chiedendosi cos’avesse improvvisamente suo zio. Era come spaventato ed affascinato allo stesso temo. Ma da cosa? La ragazzina non vedeva altro che i due bambini ed una lunga serie di automobili parcheggiate ai lati della strada e in fondo ad essa, poi il muro che divideva il quartiere dalle case site dall’altro lato.
Erita non li vedeva ma GS si. C’erano alcuni ragazzini intenti a contare sotto la pianta che chiamavano ficus. Si intravedeva l’automobile vecchia parcheggiata proprio accanto all’altro marciapiede, quello dove loro contavano quando giocavano a nascondino.
GS avanzò verso di loro con passo incerto. Era incredulo: erano davvero loro quei bambini? Vide quel ragazzetto dai capelli rossi vestito in modo semplice, come tutti gli altri intorno a lui. Era girato di spalle ma era chiaro che portasse gli occhiali. Al suo fianco, di profilo, c’era un bambino chiaramente più piccolo. I suoi capelli erano leggermente scompigliati e anch’egli portava gli occhiali ed indossava un paio di calzoncini corti, una maglietta ed un paio di sandalini di gomma. I due non erano soli. Ad agitare la mano, prima di mostrare il numero indicato dalle dita, c’erano anche altri due bambini. Col viso rivolto nella sua direzione c’era un bimbo che indossava un paio di blue jeans; una magliettina ed un paio di scarpette da tennis. Portava i capelli a caschetto sul castano ed i suoi occhi erano chiari. Mentre parlava si intravedeva il dente spezzato. Sulla sinistra del gruppo c’era il quarto bambino. Aveva quasi la stessa età del bimbo che gli stava di fronte – anche se GS sapeva che era più grande di qualche anno rispetto all’altro – ed era vestito in modo semplice. Indossava un paio di occhiali ed aveva i capelli castani lunghi, che gli facevano sembrare la testa più grossa di quanto fosse in realtà.
GS camminò fino ad arrivare nei pressi del negozietto ormai chiuso da anni. Durante il tempo della sua fanciullezza aveva ospitato un’oreficeria, poi – molti anni dopo – un laboratorio di alluminio e in fine era rimasto chiuso. Il ragazzo quasi perse un battito del cuore, quando vide che il negozietto esponeva l’insegna dell’oreficeria. Era aperto e mostrava in bella vista coppe, medaglie ed altri oggetti d’oro e d’argento. GS, mentre batteva incredulo gli occhi, si chiedeva come fosse possibile. Gli sembrava di vivere in un sogno e pensò che forse si era addormentato al fresco, mentre era seduto sulla panchina della nuova villetta. “In effetti, in questi ultimi giorni mi sento molto stanco” – Pensò GS. Aveva quasi voglia di concentrarsi e di svegliarsi, poiché temeva il peggio… ma non ne trovò il coraggio. Era una situazione magica e voleva godersela finché sarebbe durata.
Vide i bambini che mostravano le dita ed il ragazzino che era rivolto col viso nella sua direzione iniziò a contare, poi passò le mani sui petti di tutti, compreso se stesso, mente pronunciava i numeri. In quel momento l’immagine cambiò.
Vide i quattro ragazzini, vicino all’auto parcheggiata accanto al grosso marciapiede, mentre salutavano un altro amico. Seguì i loro sguardi e vide il suo vecchio amico. Portava i capelli pettinati in avanti, con una ciocca che quasi gli cadeva sugli occhiali. Indossava dei vestiti semplici: un paio di calzoncini, sandali e una magliettina bianca – anche se i colori sembravano stranamente sbiaditi ed erano quasi irriconoscibili. Ma allora lui come faceva a coglierli così nitidi?
Ormai GS era conscio di vivere in una sorta di sogno e forse non tutto in quel preciso istante doveva avere una spiegazione razionale. Seguì il ragazzino mentre si allontanava e lo vide sparire subito, dato che dalla sua posizione non riusciva a vedere quel lato del quartiere. Quando GS tornò a fissare il punto in cui, fino a un attimo prima, c’erano i quattro ragazzini, non vide più nulla. Scoprì che c’erano solo due bambini che giocavano con una palla. Si voltò alla sua destra e vide che il negozio era chiuso e senza insegna. Cominciò a sudare freddo, credendo di essere sull’orlo della pazzia. Nella sua mente si affacciarono tutta una serie di volti: erano i pazienti che aveva intravisto nel lato del Tempio dedicato all’assistenza. Non c’era nessuno che avesse manifestato sintomi come i suoi. “Forse sto manifestando la pazzia sotto una forma con la quale non ho mai avuto contatto” – Pensò il cavaliere. Fissò ancora la strada ma non trovò traccia della macchina, né dei quattro amici. C’erano solo i due bambini che adesso però si erano fermati e stavano parlando tra loro.
“Zio sei diventato improvvisamente pallido”.
GS si voltò e trovò sua nipote al suo fianco. Per un attimo aveva dimenticato persino la sua presenza. “E’ stato solo un attimo, Erita. Torniamo a casa”. Si voltarono entrambi e fecero solo qualche passo, perché GS era troppo incuriosito da quanto gli era accaduto. Non resistette e lanciò un’altra occhiata alle sue spalle.
Loro erano nuovamente lì! Si spostò per vederli meglio. C’era il ragazzo dai capelli castani a caschetto che era poggiato al muro ma si lamentava con gli altri. Dopo un attimo si girò e iniziò a contare. In quel momento gli altri tre si nascosero. Il bambino dai capelli rossi si mise proprio dietro la vecchia macchina parcheggiata accanto al marciapiede. Il più piccolo dei quattro si nascose in una parte della stradina dove c’era l’abitazione dell’altro amico che se n’era andato. “E’ dietro una delle automobili parcheggiate lungo l’altro marciapiede” – Pensò GS. Ormai non aveva alcun dubbio: quella storia l’aveva vissuta molti anni prima. “Sono passati quasi venti anni” – Pensò con stupore il cavaliere.
Il ragazzino dai capelli a caschetto smise di contare e disse la solita frase – “Quaranta! Chi è dentro, è dentro e chi è fuori, è fuori”. Era da almeno diciannove anni che GS non sentiva più quella frase. Forse quella era stata l’ultima volta che l’aveva sentita pronunciare. Vide Tobia voltarsi, poi sparire dietro l’automobile. Il ragazzino dai capelli rossi cercò di vedere i piedi dell’altro da sotto l’auto. Qualcosa dovette vedere, perché iniziò a muoversi piegato, come se volesse sfuggire a qualcuno.
L’osservatore vide la scena come ne fosse rapito, anche se la conosceva perfettamente. L’aveva vissuta in prima persona e l’aveva persino vista mille volte nella sua mente, nei suoi ricordi ma mai così nitida come in quel momento. Mancava poco all’inizio del disastro.
Il ragazzino dai capelli rossi si lanciò in avanti, sbucando da dietro l’auto e si salvò.
“Ti avevo visto” – Gli disse Tobia – “Ma ti ho fatto salvare di proposito…”.
“Non dirlo, non dire quelle parole!”.
“…non sei tu quello che devo scovare ma Giumpe”.
L’osservatore rimase di sasso.
In quel momento il bambino dai capelli castani scompigliati uscì dal suo nascondiglio. GS fece qualche passo avanti e lo vide dirigersi verso Tobia.
“Ah, è così?” – Giumpe gli andò contro – “Sei proprio un bastardo, allora!”.
I ragazzini iniziarono a discutere animatamente ma le loro voci divennero soffuse, quasi un sospiro portato dal vento ma troppo flebile perché l’orecchio dell’adulto potesse ascoltarle. Come le voci, anche i corpi iniziarono a perdere consistenza, dissolvendosi.
Tutto ritornò come era un attimo prima che ricomparissero i bambini. Tutto ritornò come doveva essere ma GS non voleva più tornare a casa. Era certo che il passato, in qualunque forma avesse deciso di tornare, non aveva ancora smesso di passare di lì.
Si diresse con passo incerto verso quel muro, ormai così diverso. Il marciapiede non era più alto ma era stato portato allo stesso livello della strada. Erano stati rimossi anche i pali di metallo che limitavano il perimetro del marciapiede. Erano spariti persino i due ragazzini che giocavano a palla. Quel lato del quartiere era tornato ad essere desolato.
Camminando, camminando GS arrivò proprio di fronte l’ingresso nel lato di strada dove abitava Claude Falgar, in quello stesso lato di strada dove il Giumpe bambino era andato a nascondersi in quel lontano pomeriggio di circa venti anni prima. Il ragazzo lanciò una rapida occhiata in quell’angolo di strada, poi tornò a guardare avanti a sé. Erano riapparsi!
I ragazzini erano ricomparsi ma la scena era diversa.
Quello con i capelli castani era sparito. Forse era tornato a casa. Davanti all’osservatore, sul marciapiede di fronte l’ingresso al palazzo della Congregazione, c’era un ragazzino di spalle – ed era quello coi capelli rossi – e poco più avanti c’erano il piccolo Giumpe ed una splendida ragazzina dai lunghi capelli corvini che lo stava inseguendo.
Era difficile mettere a fuoco quelle immagini – GS non sapeva ancora come definire ciò che stava vedendo ma era certo che non si trattasse di persone in carne ed ossa, poiché non potevano vivere in quel tempo – così era anche difficoltoso stabilire chi fosse avanti a chi e chi dietro. Un attimo prima le immagini erano nitide e l’attimo dopo erano più eteree, quasi trasparenti.
Quello che stava accadendo era molto chiaro. I due protagonisti di quella scena erano il bimbo dai capelli castani scompigliati e la ragazzina dai capelli bruni e stavano chiaramente giocando. La ragazzina sembrava avere un sorriso sul volto ma non era un sorriso malizioso, era semplicemente un’espressione gaia. Stava cercando di afferrare il piccolo monello ma nel farlo, poiché questi tentava di allontanarsi, non le riuscì di afferrarlo e la sua mano gli sfiorò la schiena.
GS provò un brivido lungo la schiena. Era un urlo quello che aveva appena udito? GS cercò di concentrarsi, di valutare ciò che aveva sentito ma era difficile. I suoi pensieri erano filtrati da lunghi anni di sensi di colpa. Era facile riuscire ad essere razionali quando si aveva la sua età. Ma era altrettanto semplice farlo quando si era poco più che bambini? Si disse che alcuni riuscivano ad esserlo e che quindi si dimostravano molto più maturi dei loro coetanei ed ottenevano molto più successo in molti altri campi. A lui però non era mai interessato essere il primo. Si era sempre accontentato di essere il secondo e a volte non era riuscito nemmeno a “classificarsi” a quella posizione.
Il cavaliere cercò di ricordare com’era all’epoca in cui si svolsero i fatti. Era chiaro che, forse, non poteva essere molto preciso, poiché anche in quel caso i suoi ricordi erano filtrati da numerosi avvenimenti. Avrebbe scommesso però sul fatto che era molto impulsivo e istintivo. Quindi c’era stato qualcosa – forse era meglio pensare che ci sarebbe stato qualcosa, visto che considerava quel luogo un qualcosa appartenente ad un altro presente e quindi un momento del tempo in cui alcune cose non si erano ancora verificate e forse potevano prendere anche una piega diversa – che aveva influito sui suoi pensieri e sulle sue azioni. E dentro di lui GS credette di sapere perfettamente cos’era stato a pesare sulle sue decisioni.
Quello che i suoi occhi videro dopo non era più nitido ed anzi era molto più etereo e quasi confuso. Vedeva una presenza indistinguibile che si lanciava di corsa nel palazzo della Congregazione. Dov’era finita la ragazzina bruna?
GS, l’osservatore, ebbe un forte mal di testa. Barcollò e sentì qualcuno che lo sorreggeva.
“Zio, cos’hai?”.
GS era pallido in volto e la sua fronte era imperlata di sudore. Scosse la testa, rivolto verso sua nipote – “Niente. Non mi sento molto bene”. Erita aiutò lo zio a sedersi sul bordo di marmo del muretto e gli porse un fazzolettino monouso. GS chiuse gli occhi e provò una forte sensazione di nausea. Il mondo intorno continuava a girare vorticosamente. Riaprì gli occhi, mentre lottava per non gettare via la colazione che aveva fatto poco prima.
“Zio, non ti senti bene?”.
“E’ solo un capogiro” – Le disse GS – “Ancora qualche minuto e passerà”.
Il capogiro passò e con esso la nausea. Il cavaliere cercò di alzarsi ma sentì la testa leggera e decise di prendersi ancora qualche minuto. Lanciò nuovamente uno sguardo dove un attimo prima – o avrebbe dovuto dire diciannove anni fa? – c’erano i tre ragazzini e si accorse che tutto era tornato alla normalità. La strada era tornata ad essere isolata, quasi spettrale se non fosse stato per la luce del sole. Sul balcone al primo piano del palazzo della Congregazione c’era un ragazzino che ai tempi in cui si svolsero i fatti, di cui era stato testimone per la seconda volta, non poteva essere là e non esisteva nemmeno.
Il marciapiede di fronte era basso e fuori la porticina di metallo c’era un vaso che non c’era diciannove anni prima. Il tempo era tornato alla normalità o forse la sua mente aveva smesso di fargli brutti scherzi. Allora perché non appena chiudeva gli occhi vedeva il proseguo di quell’evento?
“Zio, io devo tornare a casa. Ho promesso alla nonna che sarei andata a fare delle commissioni prima di tornare a casa mia. Non mi fido a lasciarti qui da solo, quindi vieni con me”.
GS annuì. Lasciò che Erita lo aiutasse a mettersi in piedi, anche se era certo di farcela da solo (allora perché le gambe sembravano non reggerlo?).
L’indomani sarebbe dovuto ripartire. Doveva tornare al tempio ed affrontare la prova d’esame. Era buio, era tarda serata e GS si trovava sul balcone di casa sua. Aveva preferito non uscire quella sera. Quando Nunzio, il suo migliore amico, era andato a trovarlo, invitandolo ad uscire, si era inventato una scusa ed era rimasto a casa.
I suoi occhi erano fissi sul vecchio dominio della Congregazione. Il buio era quasi pesto e non si intravedeva nessuna presenza. Era una strada desolata, nemmeno un gatto randagio per la via. Nella mente del cavaliere c’era una domanda – “Cos’era successo dopo?”. Non riusciva a ricordare bene ogni singolo attimo di quanto era avvenuto dopo che Clelia aveva scherzato con Giumpe. Sapeva molto bene però quello che era avvenuto dopo.
Giumpe se l’era presa e lui, invece di gettare acqua sul fuoco, aveva alimentato l’odio che il bambino provava per la ragazza e per suo fratello. Cos’era successo? Era stata davvero la rabbia per la Congregazione, per il modo in cui li trattava, per il suo voler avere sempre ragione nel dire che gli altri erano nella perdizione e non si sarebbero salvati quando sarebbe giunta la fine? In tutti quegli anni GS era stato convinto che il motivo principale fosse stato quello e lo credeva ancora. Non aveva potuto più sopportare il modo in cui i membri anziani della setta lo trattavano. Non riusciva a reggere quel loro modo di trattarlo con sufficienza e di cercare di trascinarlo nel loro credo. Ma perché prendersela con i due fratelli?
Quello era stato certamente un errore. Poteva trovare mille motivi per giustificare quello che era avvenuto nei mesi seguenti, in quella lunga ed interminabile estate, ma non riusciva a perdonarsi il fatto di essersela presa anche con i suoi due amici. Soprattutto lei non lo meritava. Gli voleva bene a quel tempo e gliene aveva voluto anche un po’ dopo, anche quando lui non faceva altro che prenderla in giro. C’erano stati momenti in cui avrebbe potuto tornare indietro e si era quasi accorto, nonostante la sua giovane età, che era la scelta migliore. Cancellare quel terribile errore, quasi annullare il litigio con i due fratelli ma soprattutto con lei, poiché forse lui lo aveva sempre saputo (come forse lo sapeva anche il piccolo Giumpe) che Clelia non voleva fargli del male. Non era cattiva. Non lo era mai stata.
“Forse io sapevo che non potevamo essere amici. Avevo percepito che loro non sarebbero mai stati miei amici, perché appartenevamo a due fedi diverse. Scelsi semplicemente il modo meno doloroso per distaccarmi, prima che fossero loro a farlo. Prima che fosse lei a doverlo fare”.
In quel momento GS vide la bottiglia di martini bianco sul tavolo in marmo all’interno della stanza. Entrò e se ne versò un mezzo bicchiere, ingollandolo tutto d’un sorso. Vide attraverso lo specchio il suo viso fare una smorfia, mentre il bruciore si diffondeva in tutta la sua gola ed arrivava fino allo stomaco.
Nonostante il male che gli faceva quel liquido infernale, GS se ne versò un altro mezzo bicchiere ed uscì nuovamente sul balcone.
Mentre fissava il cielo si accorse che c’era una stupenda luna piena quella sera. Pensò al giorno dopo, quando sarebbe dovuto tornare al Tempio e quasi se ne dispiacque. Bevve il contenuto del bicchiere e stava per rientrare, quando decise di dare un’ultima, breve occhiata a quella stradina. Vide due ragazzini seduti proprio sotto al “ficus”. Un sorriso gli increspò le labbra, pensando a quante volte lui ed i suoi amici erano stati seduti proprio in quel punto. Un attimo dopo, però, quel sorriso era già sparito e la tristezza tornò a fare breccia nel suo cuore e nella sua mente. Nonostante fossero passati degli anni non poteva dimenticare quanto male avesse fatto a quei due ragazzi. Non lo meritavano né lui, né lei. Non erano loro i responsabili del comportamento degli adulti. GS si chiese, ancora una volta, se un gruppo di bambini fosse stato in grado di capire quelle cose. Se lui ci aveva messo quasi venti anni a capirle, come poteva pretendere che poteva riuscirci già a dodici, tredici anni?
Ma l’essere stato bambino lo scagionava? No. Aveva continuato a trattare male quei due ragazzi anche anni dopo, quando finalmente avrebbe dovuto avere la maturità per capire che bisognava lasciarli in pace. Per quanto cercasse un modo per scagionare se stesso, GS non ci riusciva. Era colpevole, colpevole di aver preso in giro per anni due ragazzi che erano sempre stati buoni con lui, due amici che lo avevano sempre trattato più che bene.
“Non si può tornare indietro” – Si disse GS, mentre fissava la bottiglia di martini – “Posso solo ricordare, al fine di non commettere mai lo stesso errore una seconda volta”.
Poi un sorriso tornò ad illuminare il suo volto affranto – “No!” – Si disse – “Posso anche sperare che il tempo mi dia la possibilità di redimermi. Finché vivrò potrò aveva l’opportunità di fare del bene ed espiare così le mie colpe. E chi può mai dirlo? Un giorno potrei addirittura avere l’opportunità di fare del bene proprio a loro due”. GS rientrò in casa e si diresse verso la sua camera – “Si, un giorno potrò avere, forse, un’occasione per fare del bene a lei. Forse in questo modo riuscirò a guadagnarmi un posto al purgatorio, invece di bruciare all’inferno”.