El Coguaro in azione
Sfregius abbandonò la custodia con la sua arma in un angolo della stanza. Fissò GS ed abbassò immediatamente lo sguardo. “Ho combinato davvero un grosso casino” – Disse lo spadaccino.
“Non ci pensare più. Ricordati che abbiamo una missione”.
“Non lo so” – Disse ad un tratto Sfregius – “Sono passati solo pochi giorni da quando ho attraversato il cancello e non ho combinato nulla di buono” – Sfregius si girava i pollici – “Anzi, sono riuscito solo ad incasinarti la vita”.
GS si stese sul letto e sbuffò. Ancora non credeva a quello che era successo. Com’era stato possibile che Ross e gli altri lo assalissero? Non era mai stato in buoni rapporti con loro ma non c’era mai stato nemmeno motivo si arrivare alle mani. Forse Ross e gli altri stavano meditando da tempo di dargli una lezione e lui gli aveva solo offerto un’occasione d’oro. Quando chiudeva gli occhi riviveva l’istante in cui lo avevano colpito alle spalle. Come aveva fatto Nico a colpirgli l'arcata sopraccigliare dalla posizione in cui si trovava? Fissò gli occhiali rotti. L’indomani li avrebbe portati dall’ottico più vicino per farli riparare. Sperò solo che i suoi non se ne accorgessero, non voleva dar loro pensiero.
Guardò l’orario: non era nemmeno mezzanotte. L’indomani non aveva molte cose da fare, quindi si sarebbe riposato. Domani l’altro sarebbe dovuto tornare a scuola. Stava cercando di dominare le emozioni che provava in quel momento ma la rabbia la faceva da padrona e non accennava a placarsi. Si sentiva in colpa per non essere entrato in azione quella sera. Forse sarebbe riuscito ad evitare quanto era successo.
Voleva vederci chiaro ed aveva un solo modo per farlo: spiare le mosse degli altri. Gli serviva un travestimento. Senza esitare aprì l’armadio e rivelò il doppio fondo, afferrò lo scrigno e lo aprì con determinazione. “Questa volta nulla mi impedirà di vestire i panni di El Coguaro”. Il ragazzo si spogliò ed indossò la divisa: infilò i pantaloni neri aderenti e leggeri, poi le scarpe di tela ed il corpetto di protezione. Sopra il corpetto mise la parte superiore della divisa, che lo lasciava sbracciato. Sentì un brivido quando indossò l’artiglio. Provò che il meccanismo a scatto funzionasse, gli bastò un rapido colpo del dito per azionare le quattro lame e Lo scatto produsse un rumore appena percettibile: il meccanismo era perfettamente oliato. Afferrò la cintura di seta e scelse con cautela cosa inserirvi, optò subito per la sfera fumogena. Ne prese una e la mise in una piccola sacca della cintura. Fissò gli altri “giocattoli” e decise di portare con sé il taser. Se le cose si fossero messe male, avrebbe avuto una via d’uscita. Quello Era stato il primo insegnamento che aveva ricevuto quando era divenuto El Coguaro: assicurarsi sempre una via d’uscita da ogni situazione, prima di gettarvisi a capo fitto. Ragionare sulle cose era stata la regola zero: quella che precedeva e dava origine a tutte le altre. Fissò il taser: un modello davvero esclusivo che non dava nell’occhio: un guanto che sul palmo portava lo stesso sistema di un normalissimo taser. Lo indossò sulla sinistra. L’alimentazione partiva non appena il pollice schiacciava un piccolissimo pulsante sul lato del guanto, così non si correva il rischio di stendere chi non si voleva. Chiuse lo scrigno e lo nascose nello scomparto segreto dell’armadio.
Si osservò allo specchio, nella semi oscurità della sua stanza. Mise il cappuccio sul volto. Sembrava uno di quegli strampalati eroi dei fumetti, che giravano incappucciati per le città – “Quelli però possono contare spesso su poteri straordinari” – Pensò il ragazzo, mentre lui poteva affidarsi solo ai suoi sensi e alla sua mente. Sul suo viso prese forma il sorriso beffardo – “Ma per tipi come Ross ed i suoi amici basto e avanzo io!”.
Decise che aveva bisogno di un travestimento. Immediatamente pensò ai vecchi abiti di suo padre, che sua madre gli aveva detto di portare in parrocchia. Non aveva dato retta alle parole della madre, in cuor suo aveva capito subito che presto gli sarebbero potuti tornare utili. Indossò rapidamente i vecchi pantaloni, la camicetta sgualcita ed il vecchio gilet a quadri. “Mi basta soltanto un po’ di trucco ed il gioco è fatto” – Pensò il ragazzo, mentre si avvicinava alla trousse speciale che si era procurato lavorando nella televisione di quartiere.
Impiegò più di mezz’ora per riuscire a truccarsi in modo da sembrare un vecchio ubriacone. Prese la parrucca di un vecchio vestito di carnevale e la mise, assieme al cappello che era stato di suo padre. “Ci manca ancora una cosa per essere perfetto” – Disse all’immagine riflessa nello specchio. Senza fare il minimo rumore andò nella dispensa e prese un fiasco di vino pieno per metà. Passando davanti la stanza di sua madre sentì il respiro regolare, aprì la porta senza fare il minimo rumore e la chiuse con altrettanta accortezza.
Mentre raggiungeva i bassifondi, cercava di imitare l’andatura di un ubriaco. Ci riusciva perfettamente ma poi si disse che in quel modo avrebbe dato troppo nell’occhio e rischiava che gli amici di Ross gli si avvicinassero per prenderlo in giro. Doveva comportarsi normalmente e passare per un semplice barbone in cerca di un giaciglio per la notte. Gettò la bottiglia di vino oltre il muro alla sua sinistra. “E’ molto meglio così” – Disse.
Quando uscì dal vicolo che dava sulla strada, notò che all’angolo dell’ingresso al cuore dei bassifondi c’era proprio Ross, che stava parlando con uno strano tizio. Cercò di studiare bene l’altro, senza dare troppo nell’occhio ma si rese conto di non averlo mai visto. Il suo volto era nell’ombra ma la sua fisionomia ed i vestiti che indossava non gli dicevano niente. Con una rapida occhiata vide che Scarr e Benny erano gli unici rimasti ancora nei paraggi. Se ne stavano con la schiena contro il muro a diversi metri di distanza dal loro amico. Sembrava che i due discutessero animatamente ed alcune frasi erano udibili anche dall’altra parte della strada. Lo sconosciuto stava rimproverando Ross – “Te lo avevo detto di non combinare guai!”.
“…attaccato il mio amico! Cosa potevo fare?”.
Stavano parlando dell’accaduto. Ma cosa c’entrava quell’uomo con lo scontro tra Ross e GS? Poi ad un tratto El Coguaro notò la catena dorata che l’uomo portava appesa al collo. A colpirlo era stato il ciondolo d’oro: un elmo bicorno. Nella sua mente tornarono le parole di sua cognata, quando un anno prima lo aveva messo in guardia da un uomo che portava al collo una collana con quel simbolo – “E’ un tipo pericoloso. Se dovessi incontrarlo, ricordati di stargli alla larga e comunque di non incrociare mai la sua strada. Si fa gli affari suoi ma se qualcuno si mette sulla sua strada… va incontro a brutti guai”. Un misto di paura ed eccitazione lo pervase ed El Coguaro dovette lottare molto, prima di riuscire a dominare in parte il fiume di emozioni. Si chiese se qualcuno dei suoi predecessori avesse mai affrontato un tipo tanto pericoloso prima di allora. Nella sua mente prese immediatamente forma un piano. Proseguì in direzione del litorale della città, poi attraversò la strada, fingendo di cercare qualcosa con la sua andatura dinoccolata. Si fece più vicino possibile ai due, rovistando tra i cartoni ammassati in un angolo. Da quel punto riusciva a sentire in parte la conversione tra i due.
“…lavoro. L’importante è che quei due non vengano più a curiosare da queste parti, anche se non dovevi arrivare a tanto”.
“Ti ripeto che non è stata una mia iniziativa. Infatti io non mi sono immischiato nella lotta. Purtroppo però non sono riuscito a fermare i miei amici, prima che partissero all’attacco”.
Udendo quelle parole, El Coguaro pensò che in realtà quel gruppo di smidollati era composto da vigliacchi. In quattro o cinque contro due? Che gloria poteva esserci in una vittoria – ammesso che di vittoria di potesse parlare – ottenuta in quel modo?
“Adesso però, lasciate in pace GS, credo che abbia imparato la lezione”.
“Posso assicurarti che né lui né quello svitato del suo amico metteranno più piede da queste parti per un bel po’”.
“Loro no” – Pensò El Coguaro, che giocherellando con un cartone, si era fatto più vicino ai due, poiché quei due avevano, tutto a un tratto, abbassato il tono delle voci – “Ma forse qualcun altro si”. Decise che aveva ascoltato abbastanza e si diresse vero la vecchia scuola poco distante dai bassi fondi. Arrivato all’angolo della strada che portava alla vecchia scogliera, si liberò degli stracci, facendone un fagotto e nascondendoli in un buco all’interno del muro. La sua tuta nera lo rendeva tutt’uno con l’oscurità del vicolo. Iniziò a percorrere la strada e alla biforcazione prese la direzione che risaliva verso il cuore dei bassi fondi. Ma ad un tratto si accorse che qualcuno stava procedendo nella sua stessa direzione. Si appiattì contro la parete di pietra, perfettamente fuso con le ombre della notte.
GS russava forte. Era addormentato profondamente. Fissando il buio della camera, Sfregius pensò che fosse giunto il momento di entrare in azione. Abbandonò il caldo rassicurante del suo letto ed indossò rapidamente la divisa da spadaccino e assicurò lo spallaccio di protezione ed il corpetto di cuoio poi Allacciò gli stivaletti e le ginocchiere. Nella cintura mise il pugnale e prese l’astuccio contenente lo spadone senza far rumore. Il piano era semplice: tornare all’alcova segreta e distruggere l’altare nero che la strega aveva portato con sé. Dopo aver compiuto la missione, quella notte stessa, sarebbe tornato al cancello che collegava il mondo di GS al suo e sarebbe sparito per sempre.
Pensò al dolore che avrebbe dato al suo maestro di spada ma non poteva restare nel mondo dell’amico. In pochi giorni aveva causato un grosso guaio. Non osava immaginare cosa avrebbe potuto fare restando dell’altro tempo. La solitudine a cui si era costretto era in parte il vero motivo per cui aveva abbandonato la vita di strada per dedicarsi a quella della spada. Quando si addestrava in solitudine all’arte della lama, si sentiva libero. Quando udiva il sibilo che la lama scintillante produceva a contatto con l’aria si sentiva vivo. Dopo tanto bighellonare aveva finalmente trovato qualcosa in cui fosse davvero bravo. Nella sua mente riaffiorarono le immagini della prima volta in cui aveva combattuto su un vero campo da battaglia. Non era passato poi molto tempo. Rivide se stesso, al fianco degli altri fratelli di spada del clan. Era in prima linea, mentre tutto intorno i vari clan si stringevano per reggere alla carica del nemico. Davanti ai suoi occhi le forze congiunte di tre differenti fazioni: i misteriosi cavalieri, conosciuti come i Templari della Congregazione, dirigevano la carica, esortando il resto delle truppe con ordini secchi gridati nel loro linguaggio, incitavano i sottoposti a battersi, cercando di risparmiare quante più vite possibile ed in quel momento lui aveva pensato che quelle parole erano assurde – “Come si può gridare un ordine del genere, quando si sta per combattere una guerra? Quanta ipocrisia può esserci nella mente e nel cuore di un uomo?”. Vide i numerosi guerrieri dagli elmi bicorni alzare le scimitarre al vento, aizzati da una figura esile che teneva stretto nel pugno uno strano scettro crepitante di una straordinaria energia bluastra. Nella notte senza fine che aveva avvolto la provincia dal momento in cui la regina dei mostri aveva lanciato il maleficio, la luce bluastra di quello scettro incuteva terrore: sembrava che la regina dei Vikings fosse in grado di governare la furia dei fulmini e quella del tuono. I bellicosi guerrieri riuniti sotto al suo comando alzarono verso il cielo nero le affilate scimitarre e, guidati dalla carica di un gruppo di templari, si gettarono all’attacco lanciando urla di puro furore.
In quel momento gli ordini dei capi clan perdevano di significato. La sua mente era concentrata per riuscire a resistere all’impatto degli aggressori senza scrupoli. In quel momento aveva pensato che sarebbe morto, schiacciato alla carica dell’agghiacciante nemico o infilzato da una scimitarra lucente. Sapeva bene che spesso gli spadaccini che combattevano in prima linea erano destinati alla morte ma aveva scelto egli stesso di occupare quella posizione, per salvare un amico troppo debole. Si chiese dove fosse in quel momento il suo compagno d’armi e si rispose da solo: “Si trova certamente al sicuro nelle retrovie, dove dovrei trovarmi io in questo momento”. Divaricò le gambe, piegando leggermente le ginocchia e posizionando la spada di fronte al corpo, pronta a bere il sangue del nemico. La lama lanciava sinistri bagliori, riflettendo i guizzi di luce lanciati dallo scettro della regina viking.
Vide il guerriero viking andargli incontro, spostando lo scudo a sinistra ed alzando la scimitarra verso l’alto. Affondò la spada con la rapidità del cobra. Era stato il primo insegnamento che aveva ricevuto nel clan: colpisci rapido come il serpente. Libera la mente prima dello scontro, affinché l’istinto possa fondersi alla ragione e guidare le tue mosse. Sentì la lama sprofondare nel petto del nemico, superando le difese dell’armatura. Il viking arrestò la sua corsa ed un rivolo di sangue gli scese dalla bocca.
Con un movimento rapido liberò la spada e parò il fendente di un secondo nemico, per poi allontanare la sua scimitarra e sferrare un fendente così forte da abbattere il feroce avversario.
La sua mente ripercorse rapidamente le fasi dello scontro fino a quando la loro linea fu completamente spezzata. Ricordò che il suo capoclan riuscì a sottrarlo alla furia di un templare, Riuscì a duellare alla pari con quel demone corazzato e a salvarlo da una furia che di lì a poco sarebbe riuscita a travolgerlo, annientandolo. Dopo aver ferito il templare ad un braccio, il capo clan si era occupato di lui, trascinadolo nella ritirata.
Ricordò anche la prima volta che aveva affrontato i semi umani. Era stato qualche giorno dopo lo scontro con i vikings. Lui ed il resto degli spadaccini accorsi a difendere la città Magya, la capitale del regno dei maghi, furono costretti a serrare nuovamente le fila in una città abbandonata, per cercare di fermare l’avanzata della forze nemiche. Nella notte divenuta eterna, le forze di invasione lasciarono il passo ai rinforzi. Gli esseri aberranti dalla pelle lucida e gli occhi iniettati di sangue si fecero avanti, sfidando i poteri dei maghi che avevano preso il comando delle forze di difesa. Ricordò la furia e la sete di sangue che aveva guidato quegli strani esseri, che un tempo erano stati uomini, all’assalto. Niente sembrava farli battere in ritirata e presto la sua posizione fu assalita da quei diavoli travestiti da uomini. Quando li aveva visti avanzare brandendo armi arrugginite e male equipaggiati, aveva pensato che fosse un gioco da ragazzi respingerli ma quando era iniziato lo scontro si era reso subito conto che non sarebbe stato affatto facile mantenere la posizione. Vide i fratelli del clan mentre venivano azzannati al collo. Osservò gli spadaccini dei clan alleati cadere sotto i colpi di quegli strani esseri. Scacciò rapidamente la paura dalla sua mente e iniziò a sferrare colpi con la spada, quando un gruppo di semi umani giunse troppo vicino. La sua spada aveva tranciato di netto il braccio di un avversario ma, lasciandolo del tutto sbigottito, questo non aveva fermato la sua corsa e, anzi, il semi umano gli era balzato al collo. La sua lama lo aveva spaccato in due, mentre indietreggiava per evitare i colpi di un semi umano che lo attaccava con una pesante clava. La sua lama si era mossa guidata dall’istinto e l’aggressore era caduto al suolo con una gamba mozzata. Era sporco dei fluidi infernali di quelle creature che si battevano senza logica e lottava contro il dolore della ferita al polpaccio destro, che era stato addentato da un famelico nemico. Il resto delle ferite erano lievi e non gli davano molto da pensare.
Ricordò il momento in cui avevano dovuto ripiegare verso la postazione successiva, terribilmente vicina al palazzo dei maghi. In quel momento aveva pensato che il ragazzo giunto dalla Madre Terra per risvegliare l’antico eroe che avrebbe salvato la sua gente era stato brutalmente ammazzato e adesso l’unica speranza di salvezza era la spada che stringeva nelle mani.
Lanciò uno sguardo al letto affianco al suo. Il ragazzo giunto dalla Madre Terra era invece riuscito nella sua missione. Aveva trovato il tempio in cui riposava l’antico eroe giunto attraverso il cancello. Era comparso all’improvviso, proprio quando le sorti della battaglia volgevano ormai al peggio. Era merito suo se le forze nemiche si erano disperse. Torgan era riuscito da solo ad annientare i semi umani, la disgustosa progenie dei mostri spaziali. Ricordò la furia dei suoi fratelli di spada, quando il robot era riuscito ad abbattere la regina dei mostri. La vittoria di Torgan aveva ridato coraggio a tutti gli uomini d’armi e ai maghi, i quali, uniti in una marea di speranza e vendetta, si erano lanciati all’inseguimento dei nemici, che ormai fuggivano via; nella vana speranza di trovare la salvezza. Ricordò la rabbia che aveva provato quando era stato costretto a restare a letto a causa delle ferite riportate negli scontri precedenti. Nel frattempo le sorelle addette alle cure dei feriti avevano mormorato che anche i difensori della Montagna sacra avevano riportato una grande vittoria sulla seconda fazione, guidata da una delle tre signore della guerra, che aveva invaso il loro mondo.
“Cosa possono degli incappucciati, contro uno che ha affrontato gli orrori della mutazione mostruosa?” – Quel pensiero gli infuse nuovo coraggio.
Aprì la porta e andò via, senza fare il minimo rumore – “Comunque vadano le cose, questa notte risolverò una parte dei problemi e poi me ne andrò per sempre da questo mondo”.
Il misterioso uomo che aveva parlato animatamente con Ross non si era accorto della sua presenza. Del resto come avrebbe potuto? Non per niente lo chiamavano El Coguaro: la notte era come una dolce madre per lui e le ombre come delle sorelle. L’uomo armeggiò per un po’ col lucchetto che chiudeva il cancelletto, lo aprì e vi si lanciò attraverso. El Coguaro rimase immobile, attese che l'uomo sparisse oltre la prima curva per poi lanciarsi all’inseguimento, camminando sul muretto, nascosto tra i rami dei grossi alberi che crescevano dall’altro lato.
L’uomo misterioso imboccò proprio la stradina che si perdeva tra le pianete e che conduceva al sottopassaggio che dava sulla vecchia scogliera. Mantenendo la debita distanza, restando coi sensi all’erta, El Coguardo proseguì l’inseguimento, facendo attenzione a non rivelare la sua presenza e a scorgere quella di altri eventuali uomini presenti da quelle parti, il misterioso ragazzo mascherato avanzò senza timore, con l'adrenalina nel sangue.
Attraversò il passaggio sotterraneo che passava sotto la ferrovia e sbucò sulla spiaggia abbandonata. Un’insolita luna piena illuminava la spiaggia spoglia e la scogliera poco distante. Vide l’uomo avvicinarsi alla scogliera e salirci sopra. Lo spiò, col corpo schiacciato contro la parete del passaggio, perfettamente fuso con l’oscurità che lo celava. Vide l’uomo passeggiare sugli scogli. Alla luce della luna riuscì a vederne vagamente i lineamenti e si ricordò di aver già visto quel volto dalle cicatrici sulle guance da qualche parte ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare dove. Poi ad un tratto, collegando la catenina che aveva visto poco prima e il luogo in cui si trovava, riuscì a ricordare! L’uomo era spesso uscito dalla proprietà di Jhon. Che si trattasse davvero dell’uomo a cui quel lontano giorno si era riferito sua cognata? La donna glielo aveva descritto come un peso massimo: spalle larghe e fisico da culturista e anche I capelli scarmigliati rientravano nella descrizione ma non le cicatrici sul volto. Oltretutto l’uomo che stava osservando non era affatto quello che si descriveva un gigante, anche se El Coguaro pensava che si trattasse di un tipo che sapesse il fatto suo.
Sotto gli occhi del celato osservatore, la scogliera si popolò di ombre. Una dozzina di uomini emerse improvvisamente dagli anfratti in cui erano rimasti nascosti i compagni della misteriosa figura fino a quel momento. Si trattava di uomini vestiti con logore tuniche simili a quelle dei preti e provviste di cappucci, vide che gli uomini rivolsero uno strano segnale all’altro, il quale ricambiò il saluto. I nuovi venuti iniziarono a discutere animatamente tra loro ma poterono farlo per poco, perché il tizio che li aveva raggiunti li zittì con un cenno della mano e ne seguì un paio mentre camminavano lungo la scogliera. Stava andando nella direzione del cimitero di città!
Obbedendo alla curiosità che provava in quel momento, El Coguaro ignorò l’istinto che gli suggeriva di tornare a casa e seguì il gruppo, mantenendosi sempre fuso con le ombre. Strisciando sulla sabbia nera e facendo attenzione agli strani uomini sugli scogli, El Coguaro – tutt’uno con la sabbia scusa della spiaggia – seguì i tre uomini. Vide che avevano raggiunto la sabbia di un altro pezzo di litorale, si acquattò dietro la banchina di pietra che separava le due parti della spiaggia isolata e spiò lo strano uomo dalla catena d’oro mentre carezzava la fredda pietra nera di uno stano altare, che i due uomini fecero uscire improvvisamente dalla sabbia tirando due grosse catene. La luce della luna scintillò sinistramente sulla pietra nera e levigata. L’uomo afferrò uno strano libricino dalla tasca interna del giubbetto, lanciò un’occhiata ad alcune pagine e poi lo rimise al suo posto. Parlò con i due uomini, che annuirono e poi tornò indietro.