GS non merita l'investitura

07.11.2014 18:32

Claude stava uscendo dalla chiesa. Aveva seguito la funzione, poi si era fermato con gli amici: Felipe; Angelo; Nunzia e gli altri del gruppo. Quando aveva guardato l’orologio si era reso conto che era quasi mezzo giorno. Doveva sbrigarsi: aveva solo un’ora per fare i compiti, prima di mangiare e poi andare dai suoi amici per passare un pomeriggio in allegria.

Quando entrò nella parte di incrocio che portava a casa sua, Claude notò una figura furtiva. Riuscì appena a vedere una chioma bruna svolazzante sparire oltre il grande cancello in fondo alla strada. Incuriosito, decise di vedere chi fosse quella persona, anche se aveva una mezza idea. Guardò prima in ogni direzione, su ogni balcone e in ogni finestra del grande palazzo che sorgeva in fondo alla strada. Non c’era nessuno. Si avvicinò al cancello, si mise in piedi sul cofano di un’auto lì parcheggiata e fece forza con le braccia per issarsi appena una spanna sopra il cancello. Vide alcuni rifiuti accumulati nello spiazzo di quella che prima doveva essere una fabbrica ma non vide traccia della persona che era entrata pochi minuti prima. Guardandosi ancora intorno, Claude scavalcò il cancello e saltò dall’altro lato, atterrando in piedi e facendo meno tumore possibile. Sulla sinistra aveva un muro divisorio che sanciva il perimetro della proprietà di un suo vecchio amico. Sulla destra invece c’era parte della fabbrica, ormai chiusa da anni. Claude si accostò al muro, cercando di captare il minimo rumore. Sentì qualcuno parlare all’interno della vecchia fabbrica. Col cuore che batteva forte, decise di dare un’occhiata. Scivolò lentamente fino all’ingresso. Lanciò una rapida occhiata al cancello di fronte, alla fine dello spiazzo e che dava dall’altro lato del quartiere: non c’era nessuno. In effetti il cancello dava su una piccola salita dalla quale si raggiungeva la strada principale. Non c’erano abitazioni né locali, quindi al cancello non c’era mai nessuno. Scrutò anche i palazzi dell’insieme di stabili che sorgevano alla sua destra e che erano divisi dal suo quartiere e dalla zona di dominio della Congregazione da un grosso muro. Vide qualche signora intenta a pulire una scopa dalla polvere, qualche bambino alle prese con una macchinina di plastica ed un cane che stava entrando in una stanza. Nessuno badava a lui.

Muovendosi lentamente e con circospezione, senza fare il minimo rumore, Claude si trovò all’ingresso del vecchio fabbricato. Una saracinesca era stata alzata e la porta a vetri aperta. L’interno di quella sezione della piccola fabbrica – che poi era in realtà solo un vecchio deposito – era immersa nel buio. Solo un debole raggio di luce filtrava attraverso la saracinesca aperta. Claude non poteva sbagliarsi: la ragazza che vedeva era proprio Clelia! Ma ciò che attirò la sua attenzione maggiormente e gli fece scorrere un brivido lungo la schiena fu l’armatura da battaglia.

Si trattava della straordinaria arma costruita dalle menti eccelse della Congregazione, al fine di proteggere i suoi fratelli e sorelle. Durante l’anno che aveva passato al fianco dei due fratelli, Claude aveva appreso qualcosa sull’armatura. Era stata ideata da un gruppo di scienziati che lavoravano al soldo della famiglia dei suoi due amici, la quale a quei tempi era molto potente. Era stata costruita per essere indossata da colei che avrebbe dovuto dominare sulla città, una volta che la Congregazione avesse preso il potere assoluto, per guidare gli uomini in modo retto e giusto. Nella mente di Claude si affacciò il terribile ricordo della prima volta che aveva visto quella corazza!

Dal punto in cui si trovava, Claude non poté fare a meno di udire parte del discorso della ragazza – “Non posso… non posso permettere che mio fratello si esponga! Se veramente GS ha cercato di evocare uno dei demoni dell’inferno, per farli camminare nella mia città, io devo fermarlo” – La ragazza aveva la voce rotta dal pianto. Era la prima volta – che Claude ricordasse – che la vedeva piangere. Il suo corpo era scosso a volte da un singulto. Il vestito nero sembrava rendere ancora più minuta la ragazza e Claude non riusciva a spiegarsi come mai ogni volta che la guardava, Clelia sembrava sempre più piccola.

“Purtroppo, se voglio preservare mio fratello dalla rovina, devo indossare nuovamente l’armatura e fermare GS… prima che riesca nelle sue oscure pratiche”. La ragazza posò la mano sulla superficie scintillante dell’armatura e questa si aprì, mostrando in ogni sua parte il vano anatomico per ospitare il corpo della padrona.

L’armatura da battaglia era composta da un corpo unico che una volta entrato in contatto con quello della sua signora, si divideva in sezioni: un elmo dal volto pressoché inesistente – solo tre fessure per occhi e bocca – una lunga chioma di trecce nere metalliche; un elegante corpetto per il busto, che nascondeva le forme della ragazza; un gonnellino d’acciaio; un paio di gambali robusti ed eleganti ed un paio di bracciali muniti di guanti puntuti. Claude pensò rapidamente: doveva intervenire prima che la ragazza indossasse l’armatura. Dopo sarebbe stato impossibile fermarla! Il ragazzo stava per entrare in azione, uscendo chiaramente allo scoperto, quando vide Clelia fermarsi.

“Non posso!” – Esclamò la ragazza – “Non deve succedere! Già una volta ho indossato nuovamente questa corazza e stavo per commettere un omicidio. La Lialce non dovrebbe essere usata per fare del male”.

“E’ così! Quindi adesso allontanati da quell’armatura”.

Clelia si voltò e si asciugò le lacrime, non appena vide Claude Falgar – “Che ci fai qui? Questo deposito è proprietà della mia famiglia”.

“E potete anche tenervelo” – Le disse Claude – “Voglio solo che ti allontani da quell’arma infernale”. Guardò la ragazza: i lunghi capelli corvini mossi che incorniciavano un volto delicato dai grandi occhi castani. Era vestita con una camicia bianca ed una gonna nera. Ai piedi portava un paio di tacchi.

Clelia lo fissò a lungo. Il suo sguardo era carico di risentimento. Iniziò ad avanzare verso Claude. Il ragazzo fece qualche passo indietro, nel vederla così decisa – “Per oggi lascerò che la Lialce continui a riposare. Ma domani farò le mie indagini e se dovessi scoprire che GS c’entra qualcosa con l’evocazione del maligno… non esiterò”.

Claude era pronto a giurare che la ragazza avrebbe mantenuto la promessa e sapeva bene che, qualora un giorno Clelia avesse indossato nuovamente l’armatura, sarebbe divenuta un’avversaria temibile e quasi invincibile, almeno per le sue capacità. “GS non ha avuto alcuna parte nell’evocazione che è stata tentata nei giorni scorsi” – Disse il ragazzo – “Se non quello di tentare di salvare la piccola vittima”. Clelia lo studiò per qualche istante, poi annuì – “Voglio sperare che sia così. Ma se così non fosse…”.

“Rilassati” – Le disse Falgar, allargando le braccia. Stava giocando al tipo sicuro di sé, per non mostrarsi debole. Era un piccolo gioco che aveva imparato in parte nella vita, in parte durante il suo breve ma intenso addestramento per divenire El Coguaro –“Ti assicuro che GS è a posto. Adesso richiudi per sempre quella saracinesca e farò finta di non aver visto l’armatura che tieni nascosta”.

La ragazza arrivò sull’uscio, senza mai distogliere lo sguardo da Claude, il quale si era fatto distante. Clelia afferrò la saracinesca e l’abbassò, chiudendola col grosso catenaccio. Mentre eseguiva quell’operazione non distolse nemmeno per un attimo lo sguardo dall’altro e quando tornò in piedi ripeté il suo avvertimento – “Farò delle indagini. Scoprirò che parte ha avuto GS in quella storia e chi è il misterioso uomo in nero che sembra aiutarlo. Se dovessi scoprire che sono in fallo… non esiterò”. La ragazza si avvicinò al cancello e lo aprì, invitando con un cenno della mano Claude ad uscire. Il ragazzo infilò le mani in tasca ed oltrepassò l’uscio del grosso cancello di metallo. Si voltò un attimo a fissare la ragazza – “Ciao Claudde” – Lo salutò lei. Lui si limitò ad un cenno della testa – “GS è fortunato ad averti come amico. Ma ascolta il mio consiglio: se dovessi scoprire che è in combutta con le forze del maligno, stagli alla larga, perché colpirò forte e travolgerò tutti coloro che si schiereranno dalla sua parte”.

“Spero non succeda, allora” – Le rispose Claude. Si voltò e fece qualche passo, poi non resistette alla tentazione e tornò a voltarsi. Vide che Clelia se n’era accorta e che esitava ad entrare nel suo condominio – “Se dovessi colpire forte… credo che rischieresti di farti male” – Sorrise come solo lui sapeva fare e tornò a voltarsi, per entrare nella strada del suo condominio. Non si guardò più alle spalle.

“Tu scherzi troppo, Falgar” – Mormorò la ragazza dai capelli corvini, mentre questi svolazzavano nel vento – “Spero per te che tu abbia ragione. Mi dispiacerebbe spazzarti via… contro il potere della Congregazione, tu ed il tuo amico siete solo due fuscelli in balia del vento”.

 

GS e Sfregius, sfiniti e medicati alla bene e meglio, avevano fermato il ciclomotore all’esterno del vecchio rudere. GS se ne stava immobile sul motorino e quando il suo amico uscì dall’antro, vide che il suo volto era scuro. “Qualcuno è passato attraverso il cancello. È successo qualche ora fa”.

“Con molta probabilità si tratta del terzo incappucciato” – Disse GS.

“E’ l’unico che manca all’appello” – Ammise lo spadaccino – “E credo che avrebbe preso parte allo scontro, se fosse stato qui”.

“La strega deve averlo mandato indietro con una missione da compiere” – Disse GS – “Peccato che il suo servo non la troverà più quando tornerà qui”.

Sfregius scosse il capo – “Non tornerà nel tuo mondo”.

GS inarcò un sopracciglio e si aggiustò gli occhiali sul naso – “Cosa intendi dire?”.

“Il mio tempo qui è terminato” – Lo spadaccino fece un lungo respiro – “E’ tempo per me di tornare a casa. Avvertirò i maghi dei tre uomini che sono arrivati qui e che in realtà erano dei mostri. Dirò loro che uno di essi è tornato indietro ed interrogherò personalmente le sentinelle del Cancello, per accertarmi che non siano in combutta con il male”. GS provò tristezza nel sapere che l’amico sarebbe tornato al suo mondo. Durante i pochi mesi in cui Sfregius aveva lottato al suo fianco, la loro era diventata una salda amicizia. “Ci rivedremo, GS” – Lo rassicurò l’altro – “Temo che la lotta contro i mostri sia ancora lunga. Ti farò avere mie notizie… e se puoi, vieni a trovarmi. Sarai sempre il benvenuto”. GS annuì. I due si strinsero forte la mano, poi lo spadaccino scomparve oltre l’uscio. L’ultima cosa che GS vide fu un lampo di luce appena percettibile. Percepì il vuoto del rudere. Rimase ancora qualche attimo a fissare il buio dell’antro, poi mise in moto il mezzo e andò via. L’indomani si sarebbe inventato una scusa, per giustificare la sparizione di Sfregius. Sperò che lo spadaccino non si cacciasse in qualche guaio.

Quando giunse sulla strada principale, GS notò una gran folla all’esterno della chiesa. Alla sua destra infatti c’era la chiesa della parrocchia di quartiere. Uno strano presentimento lo costrinse a voltare a destra, anziché a sinistra per tornare a casa.

Arrivò accanto alla parrocchia. Riconobbe Jhon, che cercava di allontanare una folla. Il cattivo presentimento era sempre più forte. Mise il motorino sul cavalletto e lasciò il casco sulla sella. Si fece largo tra la folla e vide la piccola (!) distesa sul marciapiede. Fu colto da un leggero capogiro ma lottò per non cadere. Si avvicinò e guardò Jhon dritto negli occhi. Il ragazzo non parlò ma il suo sguardo preoccupato valse più di mille parole. In quel momento si udì la sirena dell’ambulanza. I due ragazzi si voltarono verso il centro della città e scorsero le luci blu delle sirene.

I sanitari scesero dal veicolo e rilevarono i parametri della bambina. Si guardarono l’un l’altro ma non dissero nulla, quando Jhon chiese loro come stesse la bambina. In quel momento arrivò anche Iole e, vedendo che i sanitari caricavano la bambina sull’ambulanza, lanciò un grido e iniziò a piangere. Jhon la fermò e la strinse a sé. GS vide che uno dei due uomini vestiti in tuta arancione si avvicinò a Jhon e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, per poi salire a bordo e chiudere i portelloni dell’ambulanza. Il mezzo di soccorso partì rapidamente a sirene accese. GS si avvicinò ai due ragazzi – “Cosa è successo?” – Chiese.

“All’improvviso” – Rispose Jhon. Si vedeva chiaramente che il ragazzo stava lottando per non piangere. Iole invece piangeva a dirotto. “Le avevamo chiesto di non uscire di casa ma erano giorni che (!) se ne stava a letto. Per fortuna passavo di qua quando l’ho vista cadere” – Jhon si aggiustò il cappello e si mise in sella, invitando la sorella a montare sul sellino posteriore – “Adesso spero che crederai alle mie storie. (!) è malata e spero solo che riescano a fare qualcosa”. Il ragazzo andò via senza aggiungere una parola, diretto verso i bassifondi sud.

GS salì sul motorino, mise in moto e si diresse a casa. Per il breve tragitto non riuscì a pensare a nulla. Parcheggiò il motorino all’esterno della lavanderia e salì a casa. Salutò a stento suo padre e sua madre e andò in camera sua. Quando fu finalmente solo, GS iniziò a piangere. Aveva visto le carni color avorio del piccolo corpicino. (!) era stata contagiata in qualche modo dagli infimi insetti mostruosi. Mentre le lacrime rigavano il suo volto, GS promise a se stesso che non avrebbe mai più indossato l’armatura: non era stato in grado di proteggere una bambina. Non poteva continuare ad essere un cavaliere.

In quel momento suo padre entrò ed accese la luce. La sua espressione divenne triste, quando vide il figlio piangere – “C’è una telefonata per te. Un certo maestro MU”. 


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