L'arrivo di Sfregius

31.07.2013 20:45

Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu la sveglia sul suo comodino. Segnava le tredici passate. Aveva dormito per quasi dieci ore di fila ma si sentiva ancora stanco e non solo perché era tornato da una guerra ma anche perché il sonno era stato disturbato dagli incubi. Si sedette a bordo del letto e scrollò la testa. Era convinto che ci avrebbe messo del tempo prima di dimenticare le atrocità a cui aveva assistito. Fissò il letto di fianco al suo. Fino ad un anno prima c’era suo fratello che gli faceva compagnia ma era andato al nord per lavorare. Aprì le tende e poi il balcone. Era una bella giornata di fine dicembre. Aveva passato il natale fuori casa, combattendo contro assassini, templari ed orribili semi umani. Sentì le voci della radio provenire dalla cucina. A giudicare dalle voci doveva trattarsi del programma religioso che seguiva sempre sua madre. Andò in cucina pronto ad abbracciarla ma si accorse suo malgrado di essere da solo. Un biglietto con scritto “siamo fuori, siamo andati a trovare le nipotine”. Suo padre e sua madre erano andati a trovare le figlie di suo fratello e come al solito avrebbero fatto tardi. Fissò immediatamente la pentola sulla cucina. Ne scoprì il contenuto e lo mise nel piatto, senza nemmeno riscaldarlo. Prese dell’acqua frizzante dal frigo. Mangiò riso e fagioli come fosse il miglior piatto che avesse mai assaggiato nella sua vita. Ne prese un secondo piatto e lo divorò in pochi minuti. Non era ancora sazio ma aveva bisogno di qualcosa di diverso. Frugò nel frigo, che come sempre era pieno, e trovò del pollo fritto. Ne divorò una porzione senza riscaldarla e quando ebbe finito si accorse di essere finalmente sazio.

Spense la radio e andò a farsi la doccia. Si era lavato nel palazzo dei maghi anziani, prima di partire per far ritorno a casa ma ovviamente non poteva paragonarsi nemmeno lontanamente al piacere di una doccia a casa sua. Quando fu in ordine, cercò del caffé: quello non mancava mai in casa. Lo trovò e ne bevve una tazzina, poi accese il computer e si connesse ad internet, per controllare la casella di posta. Vide diverse icone sul  desktop e si ricordò che aveva lasciato in sospeso un’applicazione in visual basic, prima di partire assieme al Grande Maestro Mu ed al Cavaliere rosso. Aprì il programma ma il ricordo del cavaliere rosso lo rattristò. Si chiese se il Grande Maestro sapesse già della sua scomparsa. Come ne sarebbe rimasto? Il cavaliere rosso era la sua punta di diamante.

“Accidenti!” - Pensò - “Il maestro attendeva una relazione dettagliata dell’avventura” - Poi ricordò di non sapere in che modo doveva farla. Il maestro non gli aveva lasciato un recapito a cui rivolgersi, né un indirizzo a cui inviare una mail o una lettera. Il Grande Maestro non era neanche tipo da cellulare.

Si alzò ed ispezionò la casa. Vi era mancato solo pochi giorni ma gli sembrava di essere andato via da una vita. Si affacciò al balcone del salotto ed ammirò il suo quartiere. Lo sguardo gli cadde sul lato che un tempo era considerato il quartier generale della Congregazione della sua città. Nella sua mente gli si affacciò il ricordo dei templari della Congregazione ma lo scacciò immediatamente. Decise che ne aveva vissute già troppe di emozioni negli ultimi giorni e non gli sembrava il caso di incendiarsi l’animo con storie passate.

Passò il resto del pomeriggio guardando la televisione, poi, quando si fecero le cinque, decise di prepararsi e di uscire.

 

Fece due passi per la strada principale del suo quartiere e quando passò a pochi metri dal vecchio rudere, gli lanciò un’occhiata. Forse inconsciamente aveva paura che qualche mutante avesse attraversato il portale e potesse girare a piede libero per la città. Si pentì di non aver portato con sé la Corona o il Pugno di Boron. Almeno gli avrebbero permesso di essere più preparato nel caso in cui avrebbe dovuto combattere.

Stava ancora fissando il rudere fatiscente, quando udì il clacson di un ciclomotore. Si accorse che Jhon lo stava chiamando dall’altro lato della strada, poco distante dalla chiesa di quartiere. Attraversò la strada e si avvicinò all’amico. “Non ci vediamo da un po’” - Disse Jhon. Il ragazzo era poco più piccolo di lui ma lo superava in altezza. Era snello e di bella presenza e si diceva che avesse intorno uno stuolo di ragazze pronte a tutto per lui.

“Ho avuto delle commissioni urgenti” - Disse GS - “Degli affari che mi hanno portato lontano dalla città per un po’. È per questo che non ci siamo visti”.

“Monta su” - Gli disse Jhon - “Andiamo a farci un giro”. GS annuì, mise il casco e salì sul motorino. Jhon lo condusse nei bassifondi sud della città, dove viveva assieme alla sua famiglia. Quel posto era stato etichettato come bassifondo solo a causa di alcune famiglie non proprio per bene che vi abitavano. Videro alcuni loro amici e si fermarono.

Fuori la pizzeria di quartiere c’erano gli amici con cui avevano condiviso diversi pomeriggi e anche molte serate a giocare al calcio balilla. Jhon lo invitò a scendere e mise il ciclomotore sul cavalletto. Mentre Ross e Scar lo salutavano, GS fissò la piccola (!), la sorellina minore di Jhon. Pensò al fatto che la sua missione lo aveva portato lontano dalla sua “piccola allieva”.

“Vedi che domani ti porto mia sorella” - Gli disse Jhon - “E’ meglio che la fai studiare anche durante le feste. Come tu stesso hai potuto constatare, è molto indietro con gli studi”. GS aiutava la piccola (!) con gli studi. La bambina frequentava la seconda elementare e non era avvezza agli studi. GS aveva cominciato ad aiutarla verso la fine di agosto e da allora si sentiva di dire che la bambina aveva fatto dei passi da gigante… o almeno lo sperava.

La piccola (!) stava giocando con un gattino nero, che teneva tra le piccole braccia. Era piccolina per una bambina della sua età. Aveva un’enorme testolina con un caschetto di capelli castani che incorniciavano un volto dai lineamenti delicati.

Furono Scar e Ross a distogliere la sua attenzione dalla bambina. Lo invitarono a giocare una partita a calcio balilla nella sala giochi lì vicino. “Ho già preso i gettoni” - Disse Jhon - “Siamo io e te contro loro due”. GS annuì ed entrò nella sala giochi. Ormai non ci faceva più caso ma la sala era gremita di strani personaggi dai volti cupi.

Contrariamente a quanto credevano, Jhon e GS riuscirono a lottare fino alla terza partita, per poi capitombolare penosamente contro la superiorità di Ross. Persero con uno scarto di cinque punti. “Provate la prossima volta” - Gli disse Ross.

GS andò un attimo al bagno, per sciacquarsi la faccia e lavar via il sudore. Ogni volta che si impegnava a quel gioco sudava molto. Raggiunse i tre amici all’esterno della sala giochi e li trovò in compagnia di Benfab e alcuni altri. Come tutte le altre sere si parlava del più e del meno e GS si accorse di essere profondamente annoiato da quei discorsi. Si chiese cosa diavolo ci facesse in mezzo a gente come quella e si pentì di essersi allontanato dai suoi vecchi amici. Con quelli si che si divertiva. Era assorto nei suoi pensieri, quando vide che la piccola (!) era caduta. Si mosse all’istante e andò a soccorrerla. La bambina si era fatta male ad un ginocchio ma non era nulla di grave. “Adesso non piangere” - Le disse GS - “Vedrai che non è niente. Adesso andrai dalla mamma e ci penserà lei a farti passare la bua”. La piccola (!) gli sorrise e si pulì il pantalone con le piccole mani.

“Cosa è successo?” - GS si voltò per vedere chi stesse parlando. Nella sua mente si affacciò una sensazione sgradevole. Rimase di sasso quando vide la biondina dai capelli a caschetto. Anche lei doveva averlo riconosciuto, poiché lo fissò intensamente. Il suo era uno sguardo carico di odio. Fu in quell’attimo che GS ebbe la conferma che Iole, la sorella maggiore di (!) era la principessa dei Vikings, quella stessa guerriera che aveva cercato di ucciderlo con la pistola a raggi.

“Vieni qui” - Disse Iole alla sorella - “Cosa è successo?”.

“Niente” - Rispose la bambina - “Sono caduta e mi sono fatta male al ginocchio ma il maestro GS è venuto subito ad aiutarmi”. Stupore. Negli occhi di Iole era palese lo stupore, quando aveva sentito pronunciare quel nome. “Quindi sei tu il maestro che aiuta mia sorella” - Gli chiese. GS annuì - “Proprio così” - Rispose.

“Adesso ti accompagno a casa” - Disse Iole alla sorellina - “Dammi la mano”. Ma la piccola (!) strinse la mano di GS - “Mi accompagnerà il maestro a casa” - Disse.

GS fissò Iole. La ragazza annuì. “Va bene” - Disse lui -. “Ti accompagnerò io a casa”. Si avviò verso il cuore dei bassifondi e bussò al cancello nero attraverso il quale si accedeva alla casa di Iole. La madre della ragazza accolse GS e gli chiese cosa fosse successo. “(!) è caduta. Non si è fatta niente ma credo sia meglio che lei le dia un’occhiata al ginocchio”. La giovane donna annuì e accompagnò la bambina in casa. Prima di andar via, GS cercò di vedere se ci fosse qualcuno nel cortiletto all’esterno della casa ma non c’era nessuno. Si chiese allora da dove provenissero quell’esclamazioni. Era come se un gruppo di persone si stesse addestrando alla lotta. Forse si trattava dei vicini. GS diede poca importanza alla cosa e decise di tornare dai suoi amici.

Stava risalendo la strada che dal cuore dei bassifondi sud portava alla sala giochi, quando incrociò Iole. Inavvertitamente il suo corpo si irrigidì. Ogni suo muscolo era pronto all’azione. Rimase immobile a fissare la ragazzina che rientrava a casa. Lei sostenne il suo sguardo e si fermò a pochi passi da lui. GS fissò per un attimo i pugni dell’altra: erano serrati. Doveva averlo riconosciuto e si apprestava a compiere il lavoro lasciato in sospeso sull’asteroide.

“Iole! Che fai, vieni?”.

“Sto arrivando, madre”.

Dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, la ragazza si avviò verso il cancello di casa sua. GS la fissò finché non la vide sparire attraverso la piccola apertura. Si accorse che aveva ripreso a sudare ed afferrò il fazzoletto con mano tremante. Si deterse la fronte dal sudore e andò via.

 

“Cosa stavi facendo lì fuori?” - Le chiese sua madre.

“Stavo rientrando” - Rispose lei.

“Ho visto che stavi parlando col maestro di (!)”.

“Non stavo parlando con lui” - Rispose lei.

“Ah! Mi era sembrato di sì invece”.

Mentre si dirigeva verso camera sua, la ragazza incrociò lo sguardo del cognato. Si chiuse in camera del fratello. Girò la chiave nella porta e prese a tremare.

Cercò di contenere la paura, facendo appello a tutte le sue risorse. Si stese sul letto e fissò il soffitto. Il cavaliere che avrebbe dovuto fermare era il maestro di sua sorella. Non ci credeva ancora. Suo fratello glielo aveva sempre descritto come un tipo pacato e anche un po’ sciocco. Di certo il cavaliere che aveva affrontato sull’asteroide non era sciocco ed era anche abbastanza determinato. Iole era anche certa che il ragazzo che aveva incrociato poco distante da casa sua era il cavaliere con cui aveva combattuto. Doveva averla riconosciuta visto il modo in cui la fissava. Gli occhi di quel ragazzo trasmettevano odio. Tutto il suo corpo era pronto all’azione e se la madre non fosse intervenuta, forse l’avrebbe assalita.

Una lacrima le rigò la guancia. Lei la asciugò col dorso della mano. Si disse che non doveva piangere. Lei era una donna forte. Doveva vincere la debolezza. Sapeva che per una nelle sue condizioni non era semplice essere forte ma lei doveva diventarlo. Doveva farlo per il bene dei suoi fratellini più piccoli. Chi li avrebbe difesi se fosse successo qualcosa a sua madre o a Jhon? Lottò con tutta se stessa per vincere i singulti e per non piangere. Quando sentì bussare alla porta si irrigidì - “Chi è?” - Cercò di dare la massima autorità alla sua voce.

“Sono io, Iole. Posso entrare?”.

Si rilassò ed aprì la porta a sua sorella. La invitò ad entrare e richiuse nuovamente. “Stai piangendo?” - Le chiese la bambina.

“Mi è solo entrato qualcosa nell’occhio” - Mentì lei.

“Infatti, lo dicevo io!” - Disse la piccola (!) - “Tu sei forte e non piangi mai ed io da grande voglio essere proprio come te”.

“Vieni qui, piccola nana” - Iole prese la sorellina e la fece sedere sul letto - “Così quel ragazzo è il tuo maestro”.

“Si. Non lo conoscevi?”.

“Solo di vista” - Rispose Iole - “E dimmi: che tipo è?”.

 

“Cosa ti è successo amico?” - Jhon gli diede una pacca amichevole sulla spalla.

“Niente” - Rispose GS.

“Mi sembri scosso”.

“E’ solo che tornando indietro da casa tua mi è sembrato di vedere una persona che conosco ma era su di un ciclomotore ed andava troppo veloce”.

“Vuoi che la seguiamo?” - Jhon stava già togliendo il cavalletto al suo mezzo ma GS scosse la testa.

“Ormai sarà già lontana” - Disse - “E non so proprio che direzione abbia potuto prendere. Sarà per un’altra volta”.

La serata passò in fretta, tra una chiacchiera e l’altra e con l’aiuto di qualche partita a calcio balilla. Quando fissò l’orologio a muro della sala giochi, GS decise che non c’era motivo per lui di restare ancora lì. Si sarebbe ritirato ed anche se era presto, avrebbe passato la serata a guardare un buon film, standosene comodamente seduto in poltrona. Iniziò a salutare gli amici e Jhon si offrì di dargli un passaggio. Lo accettò volentieri ed andò via.

 

Il lampo di luce durò solo un attimo.

Sfregius si stropicciò gli occhi, guardandosi intorno. Si trovava tra le fredde mura di un casolare, sporco e lurido. Riuscì a leggere qualcuna delle scritte oscene che addobbavano i muri ma non ne capì il significato. Seguendo la luce, riuscì ad uscire dal fatiscente maniero in cui era giunto. Con una rapida occhiata alle spalle si sincerò che il passaggio si fosse chiuso, anche se era certo che nessuno lo aveva seguito.

Scosse energicamente il capo, poiché non si trovava a suo agio con gli strani abiti che aveva dovuto indossare prima di iniziare la sua missione. Pensò a dove poter nascondere il suo spadone, mentre decise che avrebbe tenuto con sé il pugnale, per ogni evenienza. Si guardò rapidamente intorno, esplorò con occhio attento il luogo in cui si trovava. Poco distante dall’ingresso del maniero diroccato c’erano degli strani oggetti di metallo. Notò che avevano delle ruote e pensò che doveva trattarsi di mezzi di trasporto. Disgustato dagli enormi palazzi che lo circondavano, lo spadaccino Sfregius si chiese dove tenessero i cavalli. Anche se si sforzava di percepirne l’odore, non riuscì a scovarlo. L’aria di quel mondo era diversa da quella del suo e puzzava come non mai.

Udì un rombo fortissimo e si calò al suolo, temendo un attacco. “Forse i miei nemici hanno intuito le mie mosse e sono venuti a darmi il benservito” – Pensò lo spadaccino, stringendo forte il drappo in cui aveva avvolto lo spadone. Dal suo nascondiglio vide un cavaliere sfrecciare a bordo di uno stranissimo mezzo a due ruote. Nella corsa il cavaliere aveva alzato il mezzo sulla ruota posteriore, per poi tornare ad abbassarla.

Rimase ancora nascosto, col corpo schiacciato tra l’erba sporca. Forse quello era uno dei mezzi meccanici di cui si serviva la gente della Madre Terra. Benché non ne avesse mai visto uno, ne aveva letto nei tomi che riportavano le note di GS. Grazie a quanto aveva riportato il ragazzo e al contributo di coraggiosi esploratori che avevano osato varcare il cancello tra i due mondi, i maghi anziani avevano creato dei tomi in cui riportavano le notizie.

Rimettendosi in piedi tornò a pensare a dove nascondere l’arma. Delle cose che aveva letto sulla Madre Terra non aveva compreso granché ma una cosa gli era stata subito chiara: se le autorità lo avessero trovato con un’arma come la sua, gli avrebbero causato moltissimi problemi e forse lo avrebbero fatto sparire in circostanze misteriose. Che non potesse combattere contro i soldati di quel mondo gli era stato subito chiaro. Il Grande Maestro stesso aveva assicurato ai maghi che le armi degli uomini della Madre Terra si erano evolute diversamente dalle loro. Erano in grado di dare la morte schiacciando semplicemente un bottone e se anche egli fosse riuscito a scappare, trovandosi un nascondiglio, lo avrebbero annientato con terrificanti magie che portavano malattie o con globi in grado di annientare intere nazioni in un attimo. Sfregius cercò di ignorare il terrore che si stava lentamente insinuando nella sua mente e nel suo stomaco. Fece ricorso alla concentrazione, come gli avevano insegnato i maestri di spada e cercò di riacquistare la calma. La sua missione era semplice: trovare GS e metterlo al corrente del piano dei vikings. “Mi hanno affidato proprio una bela gatta da pelare” – Pensò lo spadaccino. Nel suo ordine c’erano spadaccini ben più esperti di lui, uomini che avevano dedicato tutta la vita alla ricerca dell’arte della spada, sino ad essere chiamati venerabili maestri dell’arma bianca. “Perché i maghi anziani hanno permesso ad un ragazzo come me, che solo da poco ha iniziato lo studio della spada, si giungere in un mondo pericoloso come questo” – Si chiese Sfregius ma subito dopo si rispose da solo. Era stato egli stesso ad offrirsi. Inizialmente non gli interessava viaggiare attraverso il cancello per vagare in una delle tante città della Madre Terra ma quando aveva sentito di un formidabile spadaccino tra le fila dei vikings, dentro di lui era scattata una molla. I maghi anziani cercavano non solo uno spadaccino ma anche qualcuno che avesse studiato la lingua di GS e lui lo aveva fatto.

In quel momento, solo e sperduto nella città di cemento e motori, Sfregius non fu più certo di aver fatto la scelta giusta. Il primo impulso fu quello di tornare indietro, riattraversare il cancello e ripresentarsi ai maghi anziani. Si voltò ed esplorò con lo sguardo l’oscuro ingresso del rudere ma poi scosse la testa. Ricordò il suo Venerabile maestro e quanto fosse stato orgoglioso di lui. Il venerabile maestro del suo clan gli aveva regalato il nuovo spadone, per sostituire quello che gli si era spezzato in battaglia. Quell’arma era custodita nell’armeria personale del maestro. La sua elsa era ingioiellata e terminava con una testa di leone dorata. La sua lama era grossa ed affilata come quella di nessun’altra arma, eppure allo stesso tempo era leggera e maneggevole. “Questa spada l’ho conquistata durante la ‘Guerra delle Lame’” – Gli aveva detto il venerabile maestro – “Sconfissi lo spregevole Hirull, grande maestro di spada del clan Lamghion, colui che aveva iniziato la guerra spietata contro l’inesperto imperatore. Questa spada apparteneva al maestro traditore Hirull e posso garantirti che è un’arma micidiale, non una semplice spada. La affido a te, perché so che potrà aiutarti nella tua pericolosa missione” – Il venerabile maestro gli aveva messo una mano sulla spalla e lo aveva fissato dritto negli occhi – “Ti affido quest’arma affinché tu le dia nuova gloria e so che ci riuscirai”.

Sfregius scosse la testa. Non poteva andarsene.

Si rimise rapidamente alla ricerca di un luogo dove nascondere la spada. Trovò una breccia sul lato sinistro del maniero e la esplorò. Afferrando la torcia dal suo zaino, l’accese con l’aiuto di una pietra focaia. Sembrava una camera abbandonata da tempo e non c’erano segni recenti nella polvere. Decise che per il momento quello sarebbe stato il luogo più adatto per nascondere la sua arma, finché non avesse trovato lo spadaccino che cercava. Solo in quel momento l’avrebbe messa in gioco. Gettò il fagotto in un angolo polveroso, in mezzo a vecchi mobili e drappi di tessuto abbandonati. Dopo essere uscito da quel letamaio, spense la torcia e si guardò intorno. Secondo le informazioni che gli avevano dato i maghi anziani, GS non doveva essere lontano dal cancello.  


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